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Corriere di Gela | Il fil di Gibson, Rievocazione cruda e realistica
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notizia del 23/04/2004 messa in rete alle 09:27:39
Il fil di Gibson, Rievocazione cruda e realistica

La Santa Pasqua è trascorsa, ma non si è ancora spenta la eco del film “La Passione” di Mel Gibson, che tanto ha fatto discutere e che ha registrato incassi da record al botteghino (in Italia è uscito in 700 sale); un film che ha avuto il merito di averci riproposto prepotentemente la figura di Gesù Nazzareno, il “personaggio” che più di chiunque altro ha cambiato il corso della storia dell’uomo.
Scrive l’evangelista Marco: “All’ora nona, Gesù esclamò a gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactanì,” che si traduce “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34).
Così muore Gesù nel film The Passion of the Christ di Mel Gibson, solo e abbandonato: una morte crudele, impietosa, descritta, per alcuni con crudo, violento realismo – così come è testimoniata dai Vangeli – per altri con voluto, calcolato cinismo, teso a spettacolarizzare il film (molto critico in tal senso Franco Zeffirelli). Certo, in soccorso del cineasta viene René Girard, il maggiore studioso del sacro e del sacrificio, che dell‘opera dice: “La prima rappresentazione autenticamente realista, dunque scandalosa, della Passione”.
Ma la di là dei commenti, dove ognuno vede e interpreta la pellicola di Gibson secondo la propria fede, la propria cultura, la propria sensibilità, e oserei dire anche secondo la propria ideologia politica; ciò che più sconvolge e ferisce nella visione del film è la condizione di Gesù, visto non come Uomo-Dio, ma semplicemente come un uomo qualunque, solo, perdente, sconfitto dall’arroganza del potere, e condannato alla morte più iniqua, perché considerato un sobillatore di folle, un terrorista, un blasfemo. Certo, se Gibson attraverso l’ingiusta e crudele morte di Gesù (ben interpretato dall’attore Jim Caviezel, ma nel cast ci sono anche le nostre Monica Bellucci, Rosalinda Celentano, Claudia Gerini e un bravo Mattia Sbragia), voleva raccontare la via Crucis non solo del Messia, ma le vie crucis e i dolori di tutti gli uomini che hanno attraversato la storia dell’umanità, c’è riuscito benissimo perché in Cristo davvero sono riassumibili tutti i dolori, le sofferenze, le ingiustizie e le sconfitte che colpiscono gli uomini, soprattutto quelli giusti; ma se il regista voleva andare oltre e raccontarci qualcosa anche su Gesù-Dio qui non è stato molto convincente, in quanto nella scena della Risurrezione – che è poi l’unica che testimonia l’identità di Cristo come vero Dio – egli non si spende molto e alle scena dedica appena due minuti, che non hanno saputo emozionarci come nelle durissime e sconvolgenti scene della Passione, girate a Matera dove già Pier Paolo Pasolini realizzò nel 1964 Il Vangelo secondo Matteo.

Prosegue l’evangelista: “Allora il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto fino al basso. E il centurione che gli stava di fronte, vistolo spurare gridando a quel modo, esclamò: Davvero quest’uomo era il Figlio di Dio!” (Mc 15,38-39).
Ecco, questo riconoscimento di Gesù-Dio da parte di un pagano sotto la croce,n ci sembra che non sia stato altrettanto fortemente esplicitato dal cattolicissimo Gibson, e questo silenzio sulla divinità del Cristo, lascia lo spettatore – specie il credente – nel turbamento, se non nello sconforto. Il messaggio sembra essere, non la visione escatologica della gloriosa Risurrezione, ma la rivelazione della triste condizione dell’uomo. Come a voler dire che nel dolore si nasce re nel dolore si muore, sebbene, durante la via del calvario, Gesù dica a Maria (la splendida Maia Moregenstern, già vista ne La settima stanza nel ruolo di Edith Stein) “Io faccio nuove tutte le cose”. Il regista parla di colpa immensa e indescrivibile di ogni uomo nell’omicidio di Cristo (da qui risultano infondate le accuse di antisemitismo); ma non sottolinea abbastanza che Gesù è venuto per salvare gli uomini e non per condannarli, e solo per questo ha pagato un così alto prezzo. Non riconoscerlo, significherebbe vanificare il suo sacrificio e togliere la speranza a milioni di credenti – quotidianamente vessati dai mali del mondo – che in Gesù vedono la loro unica ra-gione di vita, fiduciosi che alla fine dei tempi l’uomo dei dolori tornerà a consolare i sofferenti e gli afflitti per condurli nella Gerusalemme Celeste.
La pellicola di Mel Gibson ha quindi fallito l’obiettivo che lo stesso regista si propone raggiungere, cioé una rilettura fedele dei Vangeli? Io credo che, come sempre, la verità si trovi nella via di mezzo, e che dunque il film del regista di origine irlandese presenti molti aspetti controversi e non poche incongruenze; non si può però dire che egli non avvia girato immagini forti e sconvolgenti, a volte anche raccapriccianti; d’altronde il martirio di un uomo non è mai lindo, pulito! No, mai! Ripensiamo all’Olocausto degli Ebrei: alle immagini degli scheletri, ai corpi rinsecchiti, alla sporcizia, al fetore di putrefazione che quelle immagini evocano solo a guardarle. Ecco quelle sono immagini, alle quali, pur viste mille volte non ci abitueremo mai, e che ci scandalizzano e impietosiscono sempre. Così, a maggior ragione la Croce ci addolora e ci impietosisce sempre, perché è la Croce di Cristo ma è anche la croce nostra e del nostro dolore. Come rimanerne indifferenti?


Autore : Gianni Virgadaula

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