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Corriere di Gela | Gela, cantiere aperto
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notizia del 22/06/2007 messa in rete alle 22:27:15

Gela, cantiere aperto

Per ben vent’anni al servizio del Gela. Sinonimo di passione e dedizione verso il club rappresentativo della propria città natale, coltivate negli anni attraverso la professionalità e la competenza che lo contraddistinguono. Qualche settimana addietro ha ricevuto dal presidente Tuccio una duplice investitura: direttore generale e al contempo direttore sportivo del Gela. Una manifestazione di grande stima e fiducia nei confronti del dott. Antonio Alabiso (nella foto), il quale mai aveva assunto una responsabilità talmente rilevante all’interno del club. Per Alabiso, quarantacinquenne sposato con due figlie, il coronamento di una carriera dirigenziale.
– Che ne pensa del nuovo incarico? Ritiene possibile assolvere un duplice, o triplice, compito?
«Indubbiamente è pesante e gravoso, perché devo anzitutto rispettare i miei impegni di segreteria, curando i vari adempimenti richiesti dalla Lega, mantenendo i rapporti con quest’ultima e con la Covisoc, poi occuparmi degli aspetti finanziari collaborando con il dott. Rosario Faraci, e in generale devo sovrintendere al funzionamento e all’organizzazione della società dal punto di vista gestionale. Poi devo curare i rapporti tra il presidente e la squadra, e in queste settimane adoperarmi, in qualità di ds, per l’allestimento di un organico competitivo per un eventuale salto di categoria. Un lavoro impegnativo, ma sono pieno d’entusiasmo, e darò il massimo per essere sempre efficiente».
– Ripercorriamo il suo passato all’interno del Gela. Tutto iniziò quando lei era soltanto un giovane ventiquattrenne…
«Sì, entrai nell’allora Juventina Gela nel 1985-1986, presidente era mio zio Emanuele (deceduto lo scorso dicembre – ndr), il quale mi attribuì, e io accettai ben volentieri, compiti di segreteria. Poi negli anni seguenti ho acquisito conoscenze e competenze sempre maggiori, e lasciai il Gela solo alla fine della stagione 2002-2003 e nell’arco del campionato 2003-2004 per gestire la segreteria del Vittoria. Poi tornai nella mia città, partecipando mio malgrado a fasi difficili quali la riammissione in extremis in C1 e il fallimento della scorsa estate con relativa adesione al Lodo Petrucci».
– La sua passione per il calcio quando e com’è nata?
«Posso confessare che da sempre ho amato il gioco del calcio, da giovane militavo in formazioni dilettantistiche, soprattutto catanesi. Sono arrivato fino alla prima categoria, con il “Picanello Borgorosso” di Catania (può sembrare un invenzione, ma è veramente esistito, ndr), presidente era una macchietta, Bottino, un impresario che organizzava spettacoli ed eventi sportivi».
– In tutti questi anni con quali dirigenze ha lavorato in armonia e con quali invece ha avuto divergenze?
«Non ho mai avuto problemi con presidenti o altri dirigenti. Posso però risaltare chi mi ha permesso di lavorare con estrema serenità, instaurando un bel rapporto: ovviamente mio zio Emanuele, poi Lisciandra, Manfrè, e ovviamente Tuccio con il quale si è creata un intesa speciale, stimandoci reciprocamente sotto tutti i punti di vista».
– Quali peculiarità presenterà l’organico che intendete allestire?
«Sarà caratterizzato da un perfetto mix di giocatori esperti e giovani in gamba, ma soprattutto con gli uomini idonei a ricoprire i ruoli in campo, ossia con le caratteristiche tecniche adatte. Non ci saranno troppi doppioni, e soprattutto cercheremo di ridurre l’organico a differenza delle ultime due stagioni. Dunque massimo ventidue giocatori, con molti giovani in panchina e a completamento della rosa, tra cui qualche ragazzo della Berretti da lanciare. Ci saranno solo quattordici-quindici titolari, e per la parte restante giovani dal valore certo. Le squadre che in fin dei conti si rivelano vincenti sono proprio quelle che hanno un organico non smisurato sul piano numerico ma in grado di fornire garanzie sul piano qualitativo, e non è un caso che squadroni come Benevento e Cisco Roma non abbiano conquistato il salto di categoria dopo aver speso milioni d’euro per festeggiare la promozione».
– Chi ha scelto l’allenatore? Lei o il presidente?
«In verità è stato il presidente, il quale prima di contattare Irrera me lo ha riferito personalmente, ma io mi son mostrato immediatamente entusiasta all’idea d’ingaggiarlo, perché in passato ne ho appurato la grinta, la determinazione e anche il calcio spumeggiante che la formazione Primavera del Catania ha espresso, specialmente nell’amichevole disputata prima dei play-off con il Gela. E poi parlando con Irrera posso assicurarvi che si tratta di una persona seria, di un gran lavoratore che sorprenderà la città».
– I tifosi s’aspettano conferme, positive o negative, sul futuro dei senatori della squadra. Mancini, Comandatore e Berti faranno ancora parte del progetto?
«Ancora non c’è alcun orientamento in tal senso. Sono elementi che ovviamente teniamo in gran considerazione per i sacrifici che hanno profuso in passato per la maglia del Gela. Ma la valutazione finale spetta al mister, e solo quando saremo attorno ad un tavolo vaglieremo le opzioni possibili. Di certo la difesa sarà il reparto sul quale interverremo in maniera tenue, perché nell’ultimo torneo i mali principali sono emersi a centrocampo e in attacco e pertanto saranno questi i reparti da rafforzare. Nel frattempo abbiamo già rinnovato il contratto per un'altra stagione ad Omolade ed Ikè. Ci interessano intanto Recchi, Spanu, Fabbro».
– Il Gela, a parte i rapporti con il Palermo, intende crearne dei nuovi con altri club fungendo magari da società-satellite?
«La nostra intenzione consiste nel collaborare armoniosamente con tutti. Anche con il Catania potrebbe sorgere, utilizzando il legame d’Irrera con la società rossoblu, una sinergia importante. Nel frattempo, abbiamo riscattato dal Palermo la comproprietà di D’Aiello e Di Franco, due giovani di gran valore su cui puntiamo per il futuro».
– Per concludere, in questi anni quale aspetto a Gela l’ha infastidita?
«Il pressapochismo della città. Non si riesce a comprendere l’importanza di un club ad alti livelli, tutti credono che sia un diritto ed addirittura pretenderebbero una squadra in serie B. Blaterano per poi recarsi allo stadio, in una città di novantamila abitanti, in mille tifosi, o poco più, pari cioè all’un per cento della popolazione complessiva. Occorre cambiare mentalità, gestire finanziariamente un club professionistico è difficile, abbastanza oneroso, e mi innervosiscono quanti dicono che Tuccio, o i dirigenti delle vecchie gestioni, siano entrati nel mondo del calcio per lucrarci sopra. Uno spende sei-settecento mila euro, a volte un milione di euro, e poi deve aleggiare sulla sua figura il sospetto che faccia gli sforzi economici per interesse. E poi gli imprenditori. Dove sono? Occorre un unione d’intenti, devono aiutare il presidente, mai che si uniscano le forze per dar vita ad un progetto a lunga scadenza con un capitale non indifferente. A Gela investire nel calcio diventa sempre più un azzardo».


Autore : Paolo Cordaro

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