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Corriere di Gela | Le prospettive intriganti nel “giallo siciliano” di Daniela Privitera
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notizia del 28/05/2013 messa in rete alle 00:24:54

Le prospettive intriganti nel “giallo siciliano” di Daniela Privitera

Nell’incavo dell’enigma si muove Daniela Privitera (nella foto) con il libro Il giallo siciliano da Sciascia a Camilleri (Gela, Kronomedia Edizioni e Comunicazione, 2009). Nella prefazione, Salvo Fallica, accennando ai plurimi significati del “giallo” (ricerca della verità, strumento di analisi e di riflessione, nonché mezzo di conoscenza e di decostruzione critica della realtà), ne afferma la natura di “genere letterario”. E’ in quest’ottica che egli definisce “intelligente” la ricognizione avviata dalla giovane studiosa, attenta a fornire una puntuale storiografia sull’argomento. Opera “analitica” e “divulgativa”, ancorché non esaustiva, ma fondamentale. E ad essa dovrebbe seguire un’antologia sul giallo che la Privitera intende realizzare.

Il libro si compone di quattro succosi capitoletti preceduti da una “Premessa”, dove l’autrice succintamente espone i motivi che l’hanno indotta a prestare attenzione al romanzo poliziesco. Il suo successo – afferma - non è solamente limitato alla scrittura, ma si estende anche ai mass-media e alle nuove tecnologie. La studiosa, traendo spunto da un interrogativo di Umberto Eco, assume una posizione decisa: “il giallo, per le sue caratteristiche di linguaggio, temi e ricerca, rappresenta lo strumento più adatto a descrivere le tensioni sociali e gli enigmi irrisolti della nostra società”.

Nel capitolo primo ne indaga la genesi con l’ausilio di un’accurata bibliografia, enuclea i canoni del “giallo classico” modulato su una struttura lineare con la soluzione della scoperta del colpevole e ne segue l’evoluzione fino alla svolta del noir nell’impianto di tipo filosofico. Si fa già luce l’impossibilità di ricondurre il caos della realtà all’ordine logico ed è quanto accade al giallo italiano come si rivela dall’opera di Gadda Quer Pasticciaccio brutto de via Merulana. Di capitolo in capitolo le riflessioni si fanno sempre più calibrate fino a focalizzare il discorso sulla storia del giallo siciliano. A fare da filo conduttore è l’affermazione di Italo Calvino, per il quale la Sicilia non è Terra dove può radicarsi e attecchire questo genere letterario. In altri termini, “il giallo siciliano è vero giallo?”. Siamo così nel capitolo secondo, dove si scopre che il “noir siculo” coniuga la tecnica poliziesca con lo sguardo antropologico dello scrittore, tipicamente letterario. L’excursus è poi ad ampio raggio: si estende da Ezio d’Errico a Franco Enna – pseudonimo di Franco Cannarozzo – da Enzo Russo a Santo Piazzese e passa con dettagli chiari e stimolanti per notissimi scrittori siciliani quali Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Silvana La Spina, Andrea Camilleri. Composite e ricche di fermenti le frequenti incursioni su opere specifiche.

La postfazione, curata da Marco Trainito che ha scritto su Andrea Camilleri una pregevole monografia, ridesta l’attenzione sul romanzo Qui pro quo, al quale Daniela Privitera aveva già dedicate pagine degne di rilievo, annotando che lo scrittore di Comiso “occhieggia al lettore invitandolo a riscrivere il finale di una storia che potrebbe anche non concludersi perché il giallo in fondo è nella vita stessa: caotica, disordinata, priva d’un codice”.

Racconto anomalo le appare il “giallo” di Camilleri, la cui abilità è quella di tradurvi i problemi della vita usando l’ironia e la specificità di una lingua “mescidata”. Rapidi cenni biobibliografici, che bastano a inquadrare lo scrittore di Porto Empedocle, spostano lo sguardo verso la figura di Montalbano, il commissario più amato dagli italiani: uomo di raffinate letture (sa chi è Antonio Pizzuto, predilige Sciascia, conosce Pirandello e Jan Potocki), investigatore anticonformista in una Vigàta dagli affari illeciti e buon conoscitore della sua gente che, quando vuole, sa capire per la sua carica umanitaria.

Due i libri di cui la Privitera si occupa: L’odore della notte (Palermo, Sellerio, 2001) e L’età del dubbio (Palermo, Sellerio, 2008). Del primo testo, catalogato nella tipologia del “giallo atipico” (il genere che racconta un’epoca, una terra, un popolo), è accennata la trama a partire dal titolo sin estetico che ne diventa la chiave di lettura: “… il commissario segue le indicazioni di un vecchio professore il quale sostiene che nella natura, e perciò nei suoi odori, è possibile seguire i percorsi dell’anima umana e percepire le ispirazioni degli uomini”.

In effetti, a caratterizzarlo sono l’intertestualità e la psicologia di Montalbano che cede a determinate sue emozioni, evidenziate dalla studiosa finezza di osservazioni. L’attenzione psico-antropologica che Montalbano rivolge ai suoi personaggi e ben nota. Sicché, il giallo si fa meno noir. E’ il caso del secondo testo in esame, il cui titolo “insinua connotazioni di natura filosofica”, mentre l’intreccio si apre all’integrazione della vitalità onirica e della meditazione nella conduzione di determinate indagini: “E così di dubbio in sogno, e di sogno in dubbio, Montalbano risolve il caso ma non pacifica la sua coscienza (…). L’inconscio di Montalbano è vittima di un doloroso e drammatico transfert e il suo dubbio assomiglia sempre più a quello di Kierkegaard”.

In sostanza, l’articolazione del saggio, pur nella sua limpida essenzialità, è complessa e vi affiorano prospettive intriganti che autenticano il giallo siciliano come “strumento affabulatorio” nella problematicità del labirinto socio-esistenziale. Sembra a questo punto opportuno dare al lettore l’opportunità di inabissarsi nel testo ed estrarvi i suoi significati di lettura.

Federico Guastella


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