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Corriere di Gela | Clorosoda killer
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notizia del 17/11/2012 messa in rete alle 22:12:32

Clorosoda killer

La Procura gelese ha chiesto al Tribunale un incidente probatorio per acquisire una perizia allo scopo di stabilire l’origine delle patologie contratte da molti dei lavoratori a suo tempo addetti all’impianto clorosoda del petrolchimico, impianto gestito nel corso del tempo da varie società Eni (Anic, Enichem, Praoil e Syndial) ed attivo nella produzione, sino 1994, di cloro, soda, acido cloridrico, idrogeno solforato ed altri prodotti chimici.

«La richiesta – si legge in una nota della Procura – si fonda sugli esiti delle complesse e articolate indagini sinora condotte direttamente dalla Procura della Repubblica con il personale della Sezione di Polizia Giudiziaria. In particolare, sono stati identificati e sentiti tutti i lavoratori che erano stati addetti, con varie mansioni, all’impianto clorosoda, in particolare quelli che avevano contratto malattie o i familiari di quelli deceduti».

L’indagine della procura è scaturita dai dati e dalle prove raccolte dal comitato spontaneo di vittime dell’ex clorosoda, rappresentato da Massimo Grasso, il cui padre Francesco è stata una delle prime vittime dell’ “impianto killer” e costituito dai familiari dei lavoratori deceduti. Sono indagati per l’ipotesi di reato di omicidio colposo e lesioni colpose gravi 17 persone che negli anni compresi tra il 1972 e il 1994 sono state a capo della società Syndial Spa che gestiva l’impianto, chiuso nel 1994 ufficialmente perché non più conveniente. 105 erano gli addetti a quell’impianto; di questi, 12 sono deceduti per patologie tumorali e per questi è stata richiesta la perizia nell’incidente probatorio. I familiari delle vittime molto probabilmente si costituiranno parte civile.

Nel corso delle indagini sono state raccolte e visionate enormi quantitativi di dati e documenti, ricostruito il quadro delle lavorazioni effettuate nell’impianto, le sostanze che venivano utilizzate, trattate e prodotte; sono stati inoltre acquisiti libretti di lavoro, i libretti sanitari, tutta la documentazione medica per verificare se le patologie di cui si sono ammalati gli operai sono collegabili al contatto con le sostanze chimiche utilizzate nell’impianto, che ricordiamolo, avveniva senza alcuna protezione, senza mascherine e senza altri accorgimenti. Questo perchè si diceva loro che il cloro non poteva creare danni e che il mercurio si poteva prendere con le mani. Inoltre anche i documenti relativi all’organizzazione del lavoro e acquisita la testimonianza di un lavoratore del clorosoda affetto da gravi patologie.

Sulla vicenda è intervenuto il sindaco Fasulo che in un comunicato si schiera apertamente a fianco della procura, per la ricerca della verità: “L’intervento della Procura di Gela rappresenta un primo importantissimo passo per squarciare quel velo di silenzio che in questi anni ha accompagnato la vicenda legata al Clorosoda. È il segnale che lo Stato è presente e che vuole fare chiarezza una volta per tutte sul nesso di causalità che lega le attività che si svolgevano all’interno dell’impianto e le tante patologie tumorali che hanno falcidiato in questi anni gli operai che hanno lavorato lì dentro. I dodici operai deceduti, le loro famiglie ed i tanti altri operai che in questi anni hanno contratto patologie tumorali meritano verità e giustizia ed è fondamentale che i responsabili di questa tragedia, una volta individuati, paghino per ciò che hanno fatto”.

Nei giorni scorsi inoltre il sindaco aveva commentato la notizia riportata dalle agenzie di stampa relativa all’alto tasso di nati malformati nel territorio gelese e all’apertura di un’inchiesta penale della Procura, affermando la necessità di fare chiarezza e che l’amministrazione è pronta ad intervenire in tutti i procedimenti che riguarderanno l’inquinamento del territorio e la salute dei cittadini. “Pretendiamo dal Petrolchimico che il problema occupazionale e quello ambientale vengano affrontati in maniera seria e concreta – si legge nel comunicato – investendo in nuove tecnologie, innovazione e processi produttivi”.

E a riguardo è intervenuta in questi giorni l’associazione “Cittadini per la giustizia”, che si occupa della tutela e difesa dei cittadini, dei lavoratori e delle famiglie del territorio, rappresentata dall’avv. Lucio Greco, che ha intentato, nell’interesse di molte famiglie di bambini malformati, processi civili, citando in giuidizio l’Eni e due aziende del gruppo, Syndial Spa e Raffineria di Gela spa, con richiesta d’intervento della procura, allo scopo di ottenere un risarcimento dei danni subiti – così come si legge in un comunicato, a firma dell’associazione, dei giorni scorsi.

Nel comunicato si fanno riferimenti alle “gravi malformazioni dei neonati, dovuti con ogni probabilità alle sostanze inquinanti, cioè ai distruttori endocrini, sostanze artificiali prodotte da inquinanti come quelli emessi dalle raffinerie, in grado di intaccare i recettori ormonali, causando tumori, difetti alla nascita, disturbi dello sviluppo”.

Ma sembra che qualcosa stia cambiando, almeno in termini di solidarietà e voglia di giustizia da parte dei dirigenti dell’Eni. Infatti si legge nella nota che Andrea Armaro, responsabile delle relazioni esterne dell’Eni in Sicilia, ha dichiarato che “sul caso Gela, se dovessero essere dimostrate responsabilità dell’Eni a Gela siamo pronti ad aiutare anche quelle vittime”.

scheda tecnica

L’impianto di clorosoda fu costruito nel 1971 e avviato nel 1972. Era costituito da 52 celle elettrolitiche, dove lavoravano gli operai. Produceva derivati del cloro e del sodio attraverso la lavorazione del salgemma estratto dal mare; produceva inoltre dicloretano, da cui deriva il vinil cloruro, sostanza cancerogena. Nelle celle gli operai utilizzavano mercurio, sodio, idrogeno, acidi forti. Non veniva usata nessuna precauzione nel manipolare tali sostanze; il mercurio si prendeva con le mani e non si utilizzavano mascherine. L’impianto fu chiuso nel 1994.


Autore : Cinzia Sciagura

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