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Corriere di Gela | La sabbia di Gela per Quasimodo
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notizia del 08/02/2003 messa in rete alle 21:34:32
La sabbia di Gela per Quasimodo

Può sembrare del tutto gratuito disquisire su una questione che esula da certe contingenti problematiche locali. Che non sono poche, se si considera, per esempio, la disoccupazione strisciante, la malavita organizzata, gli altalenanti equilibri politici, e via di seguito. Ma siccome non si vive unicamente e, fortunatamente, soltanto di tali malesseri, allora c’è anche posto per qualcosa di apparentemente marginale: e tocca la sfera bistrattata della cultura. O, per meglio dire, la conoscenza della poesia di Salvatore Quasimodo: limitata ad una ristretta cerchia di cittadini.
Giorni addietro è stato scritto da uno studioso di storia patria locale, a proposito della probabile venuta a Gela dell’ex sottosegretario Vittorio Sgarbi, per ammirare il luogo dove ballò Mussolini, che il Duce “lasciò il locale (La Conchiglia) per una passeggiata sulla spiaggia arenosa – decantata tempo dopo come sabbia d’oro da Salvatore Quasimodo”. Non è così; non è vero che Quasimodo abbia scritto “sabbia d’oro”. Il signore Salvatore Quasimodo che dimorò a Gela, dato che suo padre aveva a che fare con la ferrovia gelese, scrisse nell’incipit della poesia intitolata a un poeta nemico “Su la sabbia di Gela colore della paglia…”. Colore della paglia e non colore d’oro.

Certo: il colore della paglia è simile a quello dell’oro, ma non è la stessa cosa, nel contesto di quella poesia.
La paglia in quella poesia gli era più congeniale, più appropriata; anche se Quasimodo modificava molto spesso i suoi testi, anche dopo essere stati dati alle stampe.
La paglia ben si addiceva alle origini contadine, che si coniugavano con la Gela di un tempo: serrata fra il mare e la piana. “Oro” e “Paglia” non sono neanche sinonimi, anche se in senso figurato possono apparire tali. Diamo a Cesare quel chè di Cesare ed a Quasimodo quel ch’è di Quasimodo: perchè un pò di filologia, soprattutto in poesia, non guasta mai.
Se così non fosse cosa dovremmo supporre se al posto del “contorto ulivo”, che si riferisce al primo verso di Vecchio Mandriano di Serafino Lo Piano, quello studioso locale avesse scritto invece “contorto abete”? In questo caso appartengono tutti e due al regno delle piante perenni, ma sono ben lontani e fuori da ogni concezione mediterranea e contadina espressa nella poesia di Lo Piano.
Purtroppo il signor Sgarbi, se farà un salto a Gela, fra un dopo festival e l’altro, non troverà più nè la sabbia “oro” nè quella “paglia”: ma la sabbia impregnata da ben altre sostanze. E non troverà neanche gli atti del convegno internazionale sul premio Nobel Quasimodo, svoltosi il 25 e 26 ottobre del 2001 nell’ex Convento dei Benedettini.
C’è sempre qualcosa in questa terra geloa che non torna comprensibile.


Autore : Federico Hoefer

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