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Corriere di Gela | IL VOTO REGIONALE / Antipartitocrazia e leaderismo alla siciliana
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notizia del 03/03/2013 messa in rete alle 19:28:28

IL VOTO REGIONALE / Antipartitocrazia e leaderismo alla siciliana

Provando a fare un'analisi del voto siciliano nell'ambito delle elezioni politiche 2013 si può subito esordire asserendo che per molti versi rispecchia il dato nazionale, anche se con alcune peculiarità che vale la pena di rimarcare, iniziando preliminarmente dal risultato dell'affluenza. Come si può agevolmente evincere, i non votanti nell'isola sono almeno 10 punti percentuali in più rispetto al computo complessivo nazionale e se li volessimo raccogliere in un partito, in Sicilia esso risulterebbe vincitore.

Con tutta evidenza, siamo distanti dalla maggioranza assoluta registrata pochi mesi fa alle elezioni regionali, ma col suo 35% assodato, quello degli astenuti è ancora il primo partito in Sicilia.

Negare a Grillo ed al suo movimento la palma del vincitore di queste elezioni, ci sembra azzardato come quando passi col rosso al semaforo. Ancor più in Sicilia dove il Movimento Cinque Stelle ha sgretolato il muro del 30% alla Camera, sfiorandolo al Senato, quindi posizionandosi sopra la rispettiva media nazionale (25%), il che ha significato portare nel parlamento italiano ben 19 grillini siciliani.

Dopo aver eroso tanto a destra, Grillo ha sfondato nel fianco mancino del sistema partitico anche in Sicilia puntando sui costi della politica, sull'energia e sull'ambiente: il «No Muos» e il taglio delle indennità da parte dei deputati a 5 stelle all'Ars, sono stati apprezzati. Ciò che i grillini propugnano non è l'antipolitica, annidatasi invece nei palazzi del potere tanto da meritarsi l'appellattivo di “casta”, ma un'avversione totale verso i partiti tradizionali per niente celata anche stavolta nello “Tsunami Tour”.

Se, pertanto, sommiamo il dato dei non votanti che non si sentono rappresentati da alcuno e l'aperta ostilità espressa con il voto ai grillini, ricaviamo almeno un buon 65% di siciliani che si dichiara deliberatamente anti-partitocratico.

E nella deriva dei partiti che oltre a condannare le formazioni minori (Idv, Fli, La Destra, Grande Sud/Mpa, Radicali, Socialisti, Comunisti, ecc., fuori dal parlamento) ha pure coinvolto quelle maggiori (Pd e Pdl che hanno perso molto consenso), non può essere sottaciuto il ritorno in auge di Berlusconi.

Il “cavaliere” è tornato in sella limitandosi per lo più a cavalcare il malessere popolare attorno le decisioni prese dal governo Monti. Berlusconi ha vestito i panni dell'antieuropeista e si è rivolto con toni propagandistici efficaci a chi si vede impoverito dall'euro, indebitato da prestiti di Stato alla Bce pagandone gli interessi di tasca propria, costretto a chiudere giusto per non fallire e col respiro cortissimo perché strozzato dalle tasse. Argomenti che nella terra di quello che fu il 61-0, hanno fatto presa fin tanto da delineare i contorni di un successo: basti pensare che il Pdl – un cadavere politico dato per sepolto – vince ed ottiene il premio di maggioranza al Senato, è dietro solo al M5S alla Camera in entrambe le circoscrizioni e guadagna in tutto 26 seggi, cioè solamente 2 in meno rispetto alla pattuglia del 2008 (premio di maggioranza anche alla Camera).

A fare da autentico contraltare, altresì, è la completa disfatta del fronte giustizialista rappresentato in questa competizione per larghi tratti dalla lista Rivoluzione Civile.

Nella cieca esaltazione dell'anti-berlusconismo, il risultato anche in Sicilia (2,5% al Senato, sopra il 3% alla Camera) palesa una sonora bocciatura da parte di una buona parte dell'elettorato e specie di chi non evade, atterrito da un Ingroia in versione medievale che vorrebbe introdurre in materia fiscale un onere della prova invertito (siccome ci sono indizi, sei colpevole fino a prova contraria).

Del resto, alcune scelte di mera opportunità giustizialista compiute in Sicilia, sconfessando esiti plebiscitari alle primarie, non ha giovato all'immagine del Pd isolano, premiato alla Camera senza meritarlo da una legge elettorale fatta male.

Se consideriamo gli eletti nei due rami parlamentari, il Pd in Sicilia vanta 24 seggi, +3 rispetto ai 21 del 2008. Sarà pure che l'arretramento nell'isola sia in linea con quello nazionale, ma quei 7 punti di distanza fra il risultato nella regione (18%, come alle recentissime elezioni regionali) ed il risultato nel paese (25%) esistono e dicono tanto.

Un Pd siciliano, d'altra parte, non premiato al Senato dall'operazione Megafono. La lista di Crocetta, beninteso, fa il suo e porta in dote quel 6% conseguito alle regionali, ma dell'operazione sfondamento auspicata (15%) manco a parlarne. Dentro e fuori il Megafono c'è chi spinge a battere la strada dell'autonomismo, anche perché le urne sembrano indicare un Pds (ex Mpa) cedere su questo campo definitivamente il passo.

E' anche vero però che, se pur in pochi mesi di governo nell'isola, il Megafono conferma lo stesso dato delle regionali, idem il Pd, addirittura perde di brutto l'altro alleato Udc, le urne paiono voler suggerire un qualche ripensamento.

C'è già chi lo invoca in Giunta. Rimanendo a sinistra, Sel torna in parlamento e dalla Sicilia il contributo si concretizza in 2 deputati, 1 per circoscrizione. Niente da fare invece al Senato.

Fortemente ridimensionato, infine, il voto “moderato”. Nelle 2 circoscrizioni siciliane alla Camera, l'Udc passa da 5 a 2 seggi con un calo di consensi evidente in una realtà dove, anche senza la componente cuffariana, l'Unione di Centro si era comunque distinta alle regionali di ottobre. Con l'apporto dei 2 deputati di Scelta Civica, il gruppetto dei centristi siciliani in parlamento sale così a 4. A differenza che in altre regioni, poi, al Senato la lista unica montiana rimane a bocca asciutta. I tempi del “grande centro”, financo nel limbo di Sturzo, sono lontani e per chi sentiva un così gran bisogno nel paese di un “terzo polo”, ci ha pensato Grillo.


Autore : Filippo Guzzardi

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