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Corriere di Gela | Al Petrolchimico monta l’allarme disoccupazione
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notizia del 30/01/2010 messa in rete alle 18:58:45
Al Petrolchimico monta l’allarme disoccupazione

Il 2010 dei lavoratori impegnati all'interno del più rilevante conglomerato economico del territorio gelese si apre secondo modalità del tutto conformi a quelle manifestatesi nel 2009, e per dire la verità anche nel precedente 2008: l'insoddisfazione per una stabilità solo desiderata e mai, effettivamente, concretizzatasi, diviene dominatrice assoluta di animi scossi dal costante incubo di un non-futuro, già fomentato da un contesto sociale che poco spazio lascia alla libera immaginazione.
Appena pochi giorni addietro i massimi esponenti del sindacalismo gelese sembravano voler stemperare qualsiasi preoccupazione, soprattutto tra gli operai di un indotto mai così in bilico: il paventato blocco di due linee di produzione, la 1 e la 3, non doveva interpretarsi alla stregua di una palese manifestazione di disimpegno societario, bensì quale esigenza generata dalla normativa in materia, anzi la fermata apriva un periodo di manutenzioni utili alle aziende dell'indotto per conquistare qualche preziosa commessa; i famosi 980 milioni di euro di investimento, ridottisi a 500, sul sito gelese erano ostaggio di un'inspiegabile lentezza amministrativa, tale da contrariare gli stessi vertici della multinazionale; le opere già finanziate si sarebbero comunque completate. Ad una settimana di distanza, però, la labile speranza viene repentinamente affossata da un clima poco consono alla rassicurazione: i lavoratori dell'indotto si mobilitano, evidentemente consci che le strategie industriali dell'Eni poco hanno da spartire con quelle di lungo periodo, adattandosi, viceversa, a forme di mera copertura temporanea; quando gli obiettivi non sono così ben definiti si cerca di farli credere ugualmente tali, impostando ridotti periodi di distensione: le manutenzioni alle linee 1 e 3 sembrano proprio connettersi a tale progetto.
Come sarebbe stato possibile, infatti, giustificare la scelta del blocco innanzi a dati internazionali che di certo non si possono definire “tragici”; il 15 Gennaio l'Agenzia Internazionale dell'Energia fissava alla soglia dell'1,7% l'aumento del consumo di petrolio per il 2010 rispetto ai dodici mesi precedenti, passando da una domanda mondiale di 84,9 milioni di barili ad una di 86,3: per un concorrente nel mercato energetico e della raffinazione non può proprio dirsi una cattiva stima. La presenza, fin da lunedì, innanzi ai cancelli di ingresso della fabbrica, di due ex lavoratori Cispe, Antonio Incardona ed Angelo Dominante, successivamente affiancati da tre dipendenti dell'esclusa, per ragioni giudiziarie, Cedis, Salvatore Pirillo, Stefano Cafà e Rosario D'Angeli, si è rivelata un vero messaggio: i cinque operai rivendicano quello che è chiaramente statuito nei protocolli di legalità definiti sulla scorta del noto decreto Morese, ovvero il riassorbimento negli organigrammi delle aziende subentrare alle precedenti datrici.
Il giorno successivo, alla presenza del presidente di Legacoop Sicilia, Filippo Parrino, le soggettività economiche in questa associate, operanti nel vasto calderone dell'indotto Eni di Gela, non hanno mancato di esprimere tutta la preoccupazione determinata da una congiuntura difficilmente reversibile: la drastica riduzione di commesse starebbe suggerendo ineludibili scelte, la più grave delle quali il licenziamento di almeno 600 dipendenti, praticamente la metà dell'intera mano d'opera in forza alle aziende interessate.
Contestualmente alla riunione dell'associazione datoriale, i sindacati, congiuntamente, stabilivano uno sciopero di otto ore, da attuarsi immediatamente: gli operai dell'indotto, infatti, non possono permettersi alcuna inutile attesa.
Mercoledì, dunque, lo stabilimento petrolchimico era nuovamente attraversato dal malumore dei dipendenti delle aziende maggiormente in difficoltà, sospesi tra una ferrea volontà di resistere e la consapevolezza di trovarsi con le spalle al muro, al di là del “mostro di ferro”, infatti, Gela non ha da offrirti null'altro.
Una nota della Raffineria di Gela s.p.a., controllata dall’Eni, diramata in concomitanza della protesta ha, invece, descritto chiaramente l’irritazione dei suoi dirigenti, infastiditi da un clamore che si presumeva potersi sopire mediante promesse di non meglio precisati periodi di manutenzione, peraltro simili a quelle sfumate nel Settembre scorso: il rischio paventato dagli stessi, mai scesi in campo in maniera così irruenta negli ultimi anni, si staglia fino all’eventuale sospensione dell’intero ciclo produttivo.
Si accede ora ad una fase assai delicata: le mezze verità, o addirittura le coperture, utilizzate dall'Eni non possono più reggere innanzi ad un malcontento difficilmente occultabile; i dati, del resto, non possono essere smentiti tanto facilmente, soprattutto quando descrivono percentuali di cassa integrazione guadagni con pochi precedenti nel recente passato, destinati, stando a quanto dichiarato da alcuni responsabili delle aziende dell'indotto, ad aumentare.
Se gli investimenti promessi, anche alla presenza delle delegazioni sindacali, sono attendibili, allora gli stessi dirigenti dovrebbero premere affinché le autorizzazioni ministeriali non tardino ulteriormente: del resto proprio il governo in carica si è da sempre fatto prioritario sponsor del cosiddetto “cane a sei zampe”, dal Kazakistan all'Africa, passando per il Medio Oriente, Iraq incluso.
I lavoratori, dell'indotto e del diretto, non possono certamente assumere le sembianze di vittime sacrificali da adagiare sull'altare della dismissione.
Le proteste dei portuali di Trapani, quelle dei lavoratori Fiat e Delivery Email di Termini Imerese, per non parlare dei dipendenti della Keller di Carini o di quelli della Cesame di Catania, non si sono, del resto, attuate a migliaia di chilometri di distanza, tutt'altro.
Per martedì prossimo si attendono ulteriori chiarimenti: l’assessore regionale alle attività produttive, Marco Venturi, cercherà di assumere le vesti di mediatore fra parti oramai in totale dissenso.

I sindacati propongono una task force

Le segreterie provinciali unitarie del settore metalmeccanico ed edile di Cgil-Cisl-Uil della provincia di Caltanissetta dopo un’ampia ed articolata discussione, preso atto della situazione di crisi che insiste e travolge i lavoratori dell’indotto Eni di Gela, nel manifestare solidarietà e soprattutto nel rappresentare le esigenze occupazionali di tutti i lavoratori operanti nell’indotto della raffineria, esprimono la volontà di essere parte integrante della task – force che non può prescindere dalla prioritaria e inprocastinabile esigenza di ottenere, attraverso questo nuovo strumento civile e sociale, risposte certe e realizzabili in brevissimo tempo.
Il 60% dei lavoratori dell’indotto vive da mesi in regime di cassa integrazione e/o ferie obbligatorie, che la maggioranza degli sono monoreddito , titolari di mutuo e/o prestiti , che il disagio sociale di interi nuclei familiari è crescente e sempre più ha il volto dell’ingovernabilità che rischia di non risolvere i problemi anzi di esasperarli palesando gesti estremi.
La task – force che noi vogliamo costituire diventa utile per costruire un nuovo percorso di lealtà e giustizia tra lavoratori esasperati dall’incertezza quotidiana. Nel ribadire la prosecuzione dello stato di agitazione, invitiamo le istituzioni e l’eni a relazionarsi attraverso un linguaggio chiaro, netto, trasparente e soprattutto ricco di notizie certe in tema di investimenti.
Le scriventi congiuntamente ad una delegazione di lavoratori parteciperemo ai lavori indetti martedì mattina presso l’assessorato regionale all’industria della regione siciliana nell’augurio che diventi un tavolo positivamente storico storico per il presente ed il futuro dell’indotto eni presso la raffineria di Gela.


Autore : Rosario Cauchi

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