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Corriere di Gela | Sessantacinque anni fa lo Sbarco degli alleati
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notizia del 06/07/2008 messa in rete alle 17:54:28

Sessantacinque anni fa lo Sbarco degli alleati

In occasione del 65° anniversario dell’invasione delle truppe americane nel nostro territorio del 10 luglio 1943, Gela si appresta a celebrare – come ogni anno – l’avvenimento con una cerimonia e con una ricca mostra di fotografie della clamorosa invasione.
Dello storico sbarco dei marines americani resta un monito e una meditazione per i giovani delle nuove generazioni.
A cura del centro studi “Salvatore Aldisio” e del Soroptimist locali sarà celebrata una messa in onore dei caduti, sarà deposta una corona di alloro alla lapide per tutti i caduti nel viale Mediterraneo alla presenza di alte cariche militari americane di stanza a Sigonella: il colonnello Charles Barel, della British Embassy di Roma, di Antonio Grant, assistente del colonnello; Joanqin comandante della stazione aeronavale di Sigonella, Guadalupe Dickens assistente del vice comandante, Alberto lunetta vice capo ufficio di Sigonella e le più alte cariche militari, civili e religiose della città.
Questa celebrazione è stata accoppiata alla mostra di Franco Pardo “principe” dei collezionisti gelesi, che ha esposto nell’ex palazzo ducale centinaia di foto sullo sbarco delle truppe americane a Gela, facendo rivivere quell’evento che diede una svolta epocale nella storia dello scorso secolo, sul punto di vista politico, economico e dei nuovi armamenti.
Le foto evocano immagini fosche di militari sotto i bombardamenti, con la loro paura, i loro eroismo, l’ansia di salvare la propria vita. Quelle immagini sono la somma di emozioni sentite durante la notte dello sbarco: storie individuali e collettive, cannoneggiamenti, disperazione dei feriti, fuga di cittadini sorpresi nella notte.
Il 10 luglio è veramente per i gelesi il “giorno della memoria”, il giorno dell’angoscia, dello stupore, della paura e del dolore. Oggi, attraverso tante pubblicazioni, sappiamo tutto di quella notte del 10 luglio 1943: strategie, eroismi, paure, ferocia, disperazione, dolore.
Le foto di Franco Pardo ridanno piena luce alla disumanità della guerra e ricorda a tutti che fu una storia tragicamente vissuta. Quante vite di giovani gettate al vento…!
Lo sbarco delle truppe americane del 10 luglio 1943 nel territorio di Gela resterà sempre un giorno triste e indimenticabile nella memoria dei gelesi anziani.
Di quella storica invasione dell’Europa, che iniziò appunto dalla Sicilia, ne hanno parlato ogni anno molti libri, tanti quotidiani e riviste. Anche il nostro giornale ogni anno ha dedicato a quell’avvenimento intere colonne e foto.
Questa volta non ricorderemo le battaglie avvenute nel nostro mare, nell’aria e quelle sulla piana locale, ma la vita che si viveva in quel periodo prima dello sbarco e che le generazione del dopoguerra sconoscono; quelle giornate dense di paura o di ansia che si vivevano in Italia, per via delle incursioni continue degli aerei anglo-americane quando venivano a bombardare di notte le nostre città.
In quel periodo ogni Comune rilasciava ai singoli cittadini le cosiddette carte annonarie, che servivano per comprare in misura razionata il pane, la pasta, la carne, l’olio, lo zucchero, gli abiti ed altro. Tanti vivevano col mercato nero e cioè vendevano generi alimentari e di abbigliamento sottobanco.
Nella città vigeva l’oscuramento esterno (nelle vie e nelle piazze). Tutte le città erano al buio quando arrivava la sera.
Dall’aeroporto gelese di “Ponte Olivo” si sollevavano di notte gli aerei italiani e quelli tedeschi, ma la gente non sapeva se erano i nostri militari, o americani, o inglesi.
E si viveva di paura. Durante la seconda guerra mondiale l’aeroporto di “Ponte Olivo” ebbe un ruolo preponderante: spesso i nostri aerei e quelli tedeschi intrecciavano duelli nel cielo del Mediterraneo con quelli degli Anglo-americani.
Il nostro aeroporto venne visitato dal re Vittorio Emanuele III e dal principe Umberto II.
Anche a Gela si vendevano piccoli distintivi luminescenti con la scrittura “Vinceremo” (sottointeso la guerra), che si appendevano all’occhiello della giacca.
Ogni tanto si leggeva sui giornali che sui fronti dove si combatteva si svolgevano matrimoni di guerra ( incoraggiati dalla stampa del regime): l’aspirante sposa dal suo paese natale diceva il fatidico “si”, a distanza di migliaia di chilometri, all’aspirante sposo-militare, che si trovava sul fronte russo, o su quello africano, o in Iugoslavia. Situazioni assurde!..
. Ogni sera, alle ore 20, la radio italiana, quella inglese, quella francese, quella tedesca trasmettevano la canzone di “Lily Marlen”, che metteva tanta nostalgia ai militari, i quali ricordavano la loro fidanzatina “Sotto quel fanal…” . Quella canzone fu la colonna sonora di tutto il conflitto.
La gioventù che fu chiamata a partecipare al secondo conflitto mondiale fu una generazione tradita, ingannata e mandata allo sbaraglio. Fu una guerra non sentita e non voluta dal popolo. La canzone “Lily Marlen”, che si ascoltava in tutti i fronti di guerra, era un residuo di bontà e di speranza che inteneriva il cuore di milioni di militari delle nazioni belligeranti.
Alla radio in quel periodo si sentiva anche la voce del giornalista Mario Appelius che, dopo il bollettino di guerra, tuonava ogni sera “Dio stramaledica gli inglesi!”.
La vita quotidiana a Gela – come del resto in tutto il territorio italiano – si svolgeva con una certa difficoltà e incertezza. Dopo tre anni di guerra si cominciava già a parlare male del fascismo. In certe farmacie e nei bar si parlava anche di….indipendenza siciliana.
In quel periodo non c’erano autobus per recarsi a Catania, per mancanza di benzina, e i gelesi chiedevano il passaggio (a pagamento) a qualche camion per raggiungere la città etnea, passando da Caltagirone, lungo la stradale allestito nel periodo borbonico.
Dopo lo sbarco del 10 luglio 1943 un inviato di guerra americano scrisse sul suo giornale che “Buona parte della popolazione siciliana viveva di stenti, di fame e portava ai piedi sandali ricavati dai vecchi copertoni d’auto”.
Un quotidiano inglese scrisse in maniera sprezzante “Troppi morti su un territorio affamato, che avremmo potuto comprare con due paia di scarponi…”
Ricordiamo che durante l’invasione del territorio siciliano (durato 28 giorni) morirono 4.700 militari italiani, 4500 tedeschi, gli alleati lasciarono sul terreno 5200 morti.
Che brutto mostro è la guerra!
Dopo lo sbarco a Gela finì l’ansia e la paura dei bombardamenti, finì l’oscuramento esterno della città, cessarono le carte annonarie (e cioè il razionamento), cominciò l’intrallazzo (la borsa nera) e ricominciò la vita normale. Si riprese a mangiare a volontà il pane e la pasta…
A Gela si fumavano le sigarette americane (Camel, Muratti, Kent), al cinema venivano proiettati films americani, che erano stati proibiti dal fascismo. Molti masticavano la “chewing-gum”. Dopo il cosiddetto “armistizio lungo” (Settembre 1943). Il governo italiano di allora si obbligava a mettere a disposizione delle Nazioni Unite nel nostro territorio le am-lire, cartamoneta con la stampigliatura “al lied military government occupied territori”, o più brevemente la moneta dell’economia italiana.
Si cominciò a registrare il triste rientro dei militari “sbandati”, provenienti dai balcani, dal fronte russo e da vari fronti di guerra, laceri e denutriti.
Nel 1947 i soldati americani seppelliti nel cimitero di “Ponte Olivo” di Gela furono trasportati su una nave parte negli Stati Uniti e parte nel cimitero monumentale di Nettuno (Roma). Ricordiamo che il secondo conflitto mondiale ebbe effetti devastanti nel mondo, sconvolse l’esistenza di centinaia di milioni di famiglie, causò distruzioni di immane portata e la morte di sei milioni di persone tra militari e civili.


Autore : Gino Alabiso

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