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Corriere di Gela | Ne “L’uomo di Vetro” di Parlagreco il dramma interiore del primo pentito di mafia
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notizia del 12/11/2007 messa in rete alle 17:53:51

Ne “L’uomo di Vetro” di Parlagreco il dramma interiore del primo pentito di mafia

Su “L’uomo di vetro”, libro del giornalista-scrittore gelese Salvatore Parlagreco dal quale è stato tratto l’omonimo film, si è discusso sabato scorso nell’aula magna del Liceo classico “Eschilo”, in un incontro organizzato dal Rotary club. Al tavolo dei relatori erano presenti il dott. Lirio Conti, Gip al Tribunale di Gela, l’avv. Elisa Nuara, assessore comunale e past president del Rotary, che ha fatto da moderatore e lo stesso autore del libro. I lavori sono stati introdotti da Manlio Galatioto, presidente del Rotary club. (Nella foto, da sinistra: Elisa Nuara, Salvatore Parlagreco, Manlio Galatioto, Lirio Conti)
Prima di dare la parola ai relatori è stato proiettato lo speciale Rai “Primo piano”, dedicato al film, che a Taormina nel giugno scorso si è aggiudicato il premio per la migliore sceneggiatura. Incentrato sulla figura di Leonardo Vitale, che negli anni ’70 fu il primo pentito di mafia, del quale vengono riportati stralci di interviste rilasciate mentre era rinchiuso al manicomio di Reggio Emilia, il trailer mette in evidenza anche il lavoro di ricerca effettuato dall’autore del libro – nonché sceneggiatore insieme alla tedesca Schleef del film – della ricerca della verità attraverso lo studio meticoloso delle cartelle cliniche di Vitale, che fu rinchiuso per undici anni in manicomi giudiziari, in quanto la mafia per screditarlo (in quanto solo un pazzo parla, solo un pazzo tradisce) e per garantirgli la salvezza, col benestare della famiglia (per la madre Rosalia, la sorella Maria e lo zio Titta era meglio pazzo che morto) lo fece apparire come infermo di mente; fu sottoposto a perizie psichiatriche (nelle quali però le lunghe degenze nei manicomi non risultano), a diverse terapie di elettroshock dopo le prime dichiarazioni, per “svuotargli la memoria”, per impedirgli di parlare, per poi assassinarlo nel 1984, con cinque colpi di pistola, dopo appena sei mesi essere tornato in libertà, per lo sgarro subito: la mafia infatti non perdona e non dimentica chi trasgredisce la sua legge basata sull’omertà, anche a distanza di anni. E aspettò tanto ad eliminarlo per non far dare credito alle sue dichiarazioni.
Vitale fu creduto, processato e condannato solo per i reati da lui stesso commessi e confessati realmente per effetto di una crisi di coscienza e mistica (allora non era ancora vigente la legislazione attuale che riconosce i pentiti come tali e assicura loro privilegi e assistenza!), mentre le altre cinquantasei persone che aveva accusato, raccontandone nei particolari fatti e misfatti, precisi e circostanziati, rivelando moventi politici di alcuni omicidi eccellenti, furono invece tutte assolte, perché non fu ritenuto soggetto credibile, ma pazzo. Aveva tracciato la storia del crimine organizzato, dei suoi delitti, delle connivenze, della gerarchia mafiosa e delle sue regole. Venne ritenuto credibile solo da carabinieri e polizia, mentre la magistratura ritenne le sue dichiarazioni frutto di morbose fantasie, di una mente malata. Tutte cose che più in là avrebbero trovato invece riscontro dalle dichiarazioni di un altro pentito, Tommaso Buscetta.
L’occasione della presentazione del libro di Parlagreco ha dato lo spunto per una riflessione a più ampio raggio, sui problemi della nostra città. Il gip Conti, niscemese, ha parlato dei problemi legati alla delinquenza a Gela, nella quale giornalmente si registrano attentati incendiari, scippi ad anziani, senza che questi abbiano mai testimoni. E’ stato messo in evidenza che sì, le cose a Gela sono per certi aspetti cambiate: l’assessore Nuara ha detto che oggi l’associazione antiracket è molto attiva, i commercianti che subiscono richieste di estorsione denunciano, i quartieri una volta definiti a rischio stanno piano piano cambiando fisionomia, ma ancora molto c’è da fare. C’è da lavorare sulla coscienza civile dei gelesi.
Conti ha parlato del bisogno reale dell’impegno della società civile, fatta anche dai professionisti, che dovrebbero dare l’esempio, della necessità di allontanarsi dalla cosiddetta “zona grigia”, fatta di omertà e silenzio. “Non si può più stare a guardare, e girare la faccia dall’altra parte – ha detto Conti – puntualizzando sulla necessità impellente di una svolta in tal senso per i siciliani in genere che vogliono uscire dal baratro.
Parlagreco ha tenuto a sottolineare che la vicenda di Vitale è accaduta in un decennio – gli anni ’70 – di profonde trasformazioni sociali, in cui anche il fenomeno del pentitismo trovò impreparato lo Stato, che non fu in grado di gestire. Le dichiarazioni dei pentiti non rappresentavano una prova, ma solo i riscontri lo erano.
“Leonardo Vitale con le sue dichiarazioni ruppe per primo il muro di omertà che sino ad allora aveva protetto il sistema mafioso e fu l’apripista che portò alla disgregazione dal suo interno – ha detto l’autore .– Quello di Vitale non è stato un gesto per liberarsi dalle colpe terrene ma per mondarsi l’anima davanti a Dio. Solo quattro anni dopo la sua morte lo stato, a seguito delle dichiarazioni di altri pentiti, si è reso conto della veridicità delle sue affermazioni”. L’argomento di grande attualità ha suscitato interesse nel numeroso pubblico presente e al termine ha dato lo spunto per un dibattito che ha visto intervenire il poeta Enzo Salsetta, il giornalista e poeta Federico Hoefer e il prof. Gino Turco. Tutti sono stati concordi nel ritenere necessario un cambiamento di rotta nella nostra città ma che questo può essere attuato sia attraverso la cultura che da una svolta generazionale.


Autore : Cinzia Sciagura

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