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Corriere di Gela | Alle origini del femminicidio/2
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notizia del 26/10/2013 messa in rete alle 00:18:40

Alle origini del femminicidio/2

Il maschio ama la donna in quanto amato da bambino dalla madre, e crescendo ripropone la relazione madre-figlio in ogni donna che incontra. Spesso sento dire a delle mie amiche: Io non ho un figlio, ma due, riferendosi cosi al marito prima ed al figlio dopo.

Ma il bambino-figlio per diventare un vero maschio deve acquisire delle capacità psicologiche che non sono insite naturalmente nel suo essere maschio biologico, ma sono frutto di apprendimento, per imitazione ed immedesimazione di figure maschili forti.

Là dove per sua fortuna sono presenti tali figure maschili forti, il bambino apprende ad essere coraggioso, a sopportare il dolore, a non lagnarsi, a rischiare, a prendere l’iniziativa, ad essere attivo, a scegliere, a prendere decisioni.

Là dove per sua sfortuna tali maschi sono carenti per numero o per struttura di personalità (padre debole), il bambino introietta una figura maschile debole, ed una figura femminile forte, dove femminilità è associata a passività, bisogno di sicurezza, di protezione, di dipendenza.

A parte i casi limite dove queste situazioni sono chiare e nette, in una buona percentuale di casi la realtà è promiscua, ed il bambino deve districarsi fra mille difficoltà per assorbire un modello maschile forte.

Quindi deve lottare per acquisire le caratteristiche maschili, in una società dove il potere psicologico nelle relazioni è tutto al femminile.

Il maschio rischia di essere risucchiato dalla madre, che da un lato lo partorisce biologicamente, ma dall’altro lo divora psicologicamente. Alcuni maschi non nascono mai, in senso ontologico, restano legati a vita ad un cordone ombelicale psicologico con la madre, e molte mogli ne sanno qualcosa, quando si lamentano della intromissione delle suocere nel rapporto marito-moglie.

Vivono da maschi deboli, passivi e rassegnati. Altri maschi introiettano il modello femminile e vivono da gay, da maschi effeminati, altri maschi sostengono di non essere maschi, ma femmine, e che la responsabilità è della natura, loro sono maschi solo nell’involucro esterno, ma in realtà sono femmine.

A parte questi casi estremi, la maggior parte dei maschi lotta per differenziarsi dal modello femminile, per affrancarsi dalla dipendenza, per sentirsi forti e tranquilli.

In alcuni casi incontrano notevoli ostacoli nell’ambiente domestico, da parte delle madri, delle sorelle, e delle femmine del clan, e come in un arcobaleno di colori le variabili sono tante, cosi che le caratteristiche maschile e femminili si mescolano.

Il maschio che non raggiunge questa serenità interiore deve lottare ogni giorno per avere la conferma di essere maschio, deve difendersi dal rischio di essere fagogitato, dal rischio di non esistere.

La sua difesa è per sua natura comportamentale, è nella azione, nella forza muscolare, nella aggressione fisica.

La donna che lo minaccia nella sua essenza, vive il rischio di essere aggredita fisicamente, non psicologicamente, in quanto è lei la vittoriosa sul piano psicologico, ed il maschio fragile lo avverte, avverte il pericolo mortale di essere tallonato ogni giorno della propria vita, si difende con il mutismo, con la fuga nell’impegno sociale, fuori casa, fa sport, fa sindacato, fa politica.

E così nella stragrande maggioranza dei casi riesce a sottrarsi a questo immane pericolo. Ma in alcuni casi limite succede che il maschio perde l’autocontrollo, o perchè ormai francamente paranoico, con la paura di essere “ucciso”, o vittima di un acting-out in personalità fragile.

Alcuni maschi perdono il controllo, e per non essere uccisi psicologicamente spostano inconsapevolmente la lotta dal piano psicologico a quello fisico –comportamentale, la fonte del pericolo deve essere eliminata… o io la uccido o lei mi divora ed io non esisto più. Il maschio in questi casi limite uccide.

(2 – Fine)


Autore : Francesco Lauria - medico chirurgo,specialista in Psichiatria

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