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Corriere di Gela | Quell’acqua «potabile ma non bevibile»
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notizia del 31/03/2012 messa in rete alle 14:53:14
Quell’acqua «potabile ma non bevibile»

Sono sempre più convinto che tanti importanti problemi che riguardano Gela ed il suo territorio si potrebbero risolvere, o quantomeno portare verso una possibile soluzione, se solo fossimo in possesso di una qualità caratteriale che ci manca quasi completamente: il senso civico.

Il senso civico non è innato: si forma con l’educazione, che dovrebbe provenire dalla scuola e dalla famiglia. Per quanto riguarda la scuola, credo che in molte scuole elementari (oggi chiamate con l’orrendo appellativo di “istituti comprensivi”) i maestri stiano svolgendo un ottimo lavoro nei confronti delle nuove generazioni. Sull’educazione che poi bambini e ragazzi ricevono in famiglia ho qualche dubbio. Ma la mancanza di senso civico si nota maggiormente nelle fasce di popolazione più adulta, nata a cresciuta con valori spesso diluiti o addirittura sbagliati.

Il senso civico, se ci fosse, porterebbe i cittadini a protestare energicamente in caso di violazione dei propri diritti, in caso di storture o inefficienze dei servizi, in caso di comportamenti non corretti da parte della pubblica amministrazione. Tutto questo non accade: si percepiscono i problemi, questo sì, ma le proteste e le lamentele restano relegate alle chiacchiere da bar, alle discussioni tra amici e conoscenti, senza trovare i giusti canali di reazione. Una volta (ma è ormai preistoria) i canali erano i partiti, cerniera di trasmissione delle istanze dei cittadini. Le sezioni di partito erano il luogo in cui, dopo ampie discussioni e grande partecipazione, si elaboravano le proposte di miglioramento sociale. Oggi i partiti servono solo ad incanalare le istanze dei gruppi di potere e degli aspiranti a sottogoverni e raccomandazioni.

Poi è intervenuta la cosiddetta “società civile”, ossia una pletora indefinita di movimenti, comitati, associazioni, che tenta in parte di colmare il distacco tra cittadini e Palazzo assumendo il ruolo di “cerniera” abbandonato dai partiti ufficiali. Queste aggregazioni potrebbero svolgere un ruolo importante, ma a Gela ciò non avviene ancora, proprio per mancanza di senso civico, un senso che alcuni hanno, ma non la grande maggioranza della popolazione. Ecco perché, nel momento in cui qualcuno protesta, magari giustamente, per i propri diritti, si assiste a divisioni, distinguo, bastoni tra le ruote, col risultato di togliere forza alla protesta e lasciare tutto com’è senza ottenere risultati.

Il lungo preambolo sull’assenza di senso civico mi porta all’annosa questione di Caltaqua, il cui rapporto con i cittadini gelesi non è mai stato facile, né tranquillo. La società che gestisce la distribuzione idrica ha avuto certamente notevoli difetti di metodo e comportamento, ma in parte non ha torti. L’avvento di Caltaqua in provincia è iniziato male, grazie a certi politicanti di bassa lega che hanno stipulato un contratto trentennale con condizioni tariffarie da capestro per i cittadini utenti, ricevendo in cambio le “graziose” assunzioni dei propri amici, parenti e portaborse. Poi, problemi di distribuzione, quartieri a secco senza preavviso, turni di distribuzione non comunicati, bollette poco chiare e infineil problema più grosso, ovvero la non potabilità dell’acqua. Incontri col Comune, con la Regione, e la mitica definizione di Alessandro Pagano, deputato Pdl, che resterà eternamente negli annali dell’umorismo: l’acqua di Gela è “potabile ma non bevibile”. Non era una battuta, lo ha detto e scritto seriamente…

Nel 2008 si trova un accordo: i cittadini pagheranno solo il 50% delle bollette idriche e la rimanenza sarà a carico della Regione. L’accordo è stato rinnovato nel 2010 dal nuovo sindaco, ma nulla si è mosso. Adesso Caltaqua, che nei propri conti vede mancare alcuni milioni di euro riguardanti il 50% non versato, ha cambiato strategia, staccando la fornitura a quei cittadini che, in base agli accordi stipulati dal Comune, avevano pagato solo il 50% delle bollette. Caltaqua sbaglia sicuramente nel metodo, perché è assolutamente illegittimo il distacco che non sia preceduto da un preavviso inviato con lettera raccomandata, e su questo punto può essere chiamata al risarcimento dei danni arrecati agli utenti. Ma Caltaqua non ha torto sulla questione di base: chi deve pagare questo 50% che manca nei bilanci della Società? Quindi è d’obbligo una precisa distinzione tra il metodo (sbagliato) che danneggia gli utenti e il giusto diritto di Caltaqua di riscuotere il 50% mancante. Ma chi glie li deve dare questi soldi? La Regione Siciliana, che in tutto questo tempo, quattro anni, ha dormito senza risolvere la questione. Ma in questi quattro anni cosa ha fatto l’Amministrazione comunale? Cosa ha fatto la nostra deputazione regionale? Ha incalzato il governatore Lombardo per il pagamento del 50% a Caltaqua? Non mi risulta, al di là di qualche sterile riunione interlocutoria e senza risultati concreti.

Quindi se Caltaqua, pur com metodi errati, pretende il pagamento del restante 50% delle bollette, la responsabilità è della nostra classe politica, che non ha saputo portare a soluzione la questione. Protestino pure, i cittadini, ma devono saper comprendere chi li ha portati a questo punto. In altre città, nel Nord del Paese, in simili situazioni assisteremmo a centinaia di cittadini che protestano ordinatamente, civilmente, ma con decisione, di fronte al Municipio. A Gela, invece, si chiacchiera e ci si lamenta nei bar. E il senso civico si annacqua in un caffè o una birra.


Autore : Giulio Cordaro

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I Vostri commenti
E' proprio come dice Giulio C., quello che ci manca è il senso civico e, quindi, la coscienza dei nostri diritti e di quelli degli altri (che coincidono con i nostri)

Autore: Rocco Giudice
data: 03/04/2012
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