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Corriere di Gela | Cambia la legge elettorale in Sicilia
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notizia del 09/04/2011 messa in rete alle 14:13:38
Cambia la legge elettorale in Sicilia

Approvata dall'Ars la riforma elettorale su Province, Comuni e Circoscrizioni. Non poche le novità, con luci ed ombre. Ecco cosa prevede in sintesi la riforma: innanzitutto, l'introduzione del doppio voto confermativo per il candidato al consiglio e per quello alla carica di sindaco o di presidente della provincia, pur mantenendo la scheda unica; la sfiducia al sindaco, così come quella al presidente del consiglio comunale, dovrà ora essere votata dai 2/3 del civico consesso. Diventa obbligatoria la presenza di almeno una donna in giunta e di almeno un quarto delle candidate al consiglio nelle liste elettorali; non c'è più incompatibilità tra la carica di assessori e consiglieri che potranno arrivare a comporre fino alla metà la giunta; premio di maggioranza rafforzato; nei comuni fra i 10 e i 15 mila abitanti é stato introdotto il turno unico, così come è stata inserita l'elezione diretta dei presidenti delle circoscrizioni; istituzione della “Consulta dei migranti”.

Bocciata, dunque, la rappresentanza di genere invocata dal Partito Democratico che ha solo ottenuto la presenza di almeno 1 donna in giunta e più presenza femminile (almeno 1/4) nelle liste dei candidati: chissà, forse Pirro avrebbe ottenuto di più. Inoltre, partiti all'arrembaggio per la doppia scheda, facendone un cavallo di battaglia, i democratici isolani si sono fatti infinocchiare intanto sul turno unico (analisi empiriche rivelano che le forze riformiste recuperano terreno al 2° turno). Si obietterà che, come anticipato sopra, ciò riguarda solo i comuni da 10.000 a 15.000 abitanti (nuova fascia inventata ad hoc), ma la circostanza non trascurabile è che ad essere interessati sono già oltre 500.000 cittadini-elettori siciliani. Sarà stato pure un contentino ai «berluscones» e attuali soci di minoranza al Palazzo d'Orleans, ma tant'è. Sfugge, però, la logicità di questa innovazione se la colleghiamo al fatto che un sindaco eletto probabilmente non solo al di sotto del 50% dei consensi, ma anche del 40% dei consensi (e persino meno se proprio vogliamo dirla tutta), possa godere di un premio di maggioranza che, secondo un'altra novità di questa riforma, gli assicurerebbe comunque i 2/3 del civico consesso.

Altresì, con questo ennesimo intervento modificativo, ad arricchire in un vero e proprio collage legislativo in materia elettorale, solo per quanto concernono gli enti locali diventano ben 3 i sistemi elettorali, per altrettante fasce di comuni: maggioritario secco al di sotto dei 10.000 abitanti, proporzionale a turno unico tra i 10.000 e 15.000 abitanti, proporzionale a doppio turno oltre i 15.000 abitanti. Non ultimo, s'è persa un'altra occasione per armonizzare meglio il sistema: infatti - e ciò vale anche per i comuni al di sopra i 15.000 abitanti -, con la mozione di sfiducia che dev'essere ora votata da almeno 2/3 del consiglio comunale (non più il 65%) e comunque non prima di 2 anni dall'avvenuta elezione così come non oltre gli ultimi 6 mesi del mandato di primo cittadino, si rafforza la posizione di un sindaco eletto non dal consiglio comunale per l'appunto, ma dal corpo elettorale, senza però assegnare a quest'ultimo la possibilità di revocarlo attraverso referendum. L'unico vero successo è la reintroduzione del voto confermativo al candidato a sindaco: fine, pertanto, dell'effetto trascinamento (specie quello di matrice “arcoriana”, senza dimenticare un certo professionismo da populismo mediatico di altra natura) e maggior peso del candidato a sindaco il quale, se non altro, tornerà ad essere di nuovo eletto direttamente dai suoi concittadini. Niente più voti indiretti, quindi, ai candidati alla carica di primo cittadino.

Nessuna doppia scheda, beninteso. Ma benché nell'unica scheda consegnata alle urne, chi vota per un consigliere comunale all'interno di una lista, sarà ora indotto - sempre che lo desideri - a votare anche il candidato a sindaco collegato a quella lista (voto confermativo: novità) o ad altra lista (voto disgiunto: già previsto). Il tutto, entrerà in vigore a partire dal prossimo anno e non riguarderà le prossime amministrative primaverili, sebbene non sia proprio così. Infatti è stato risolto definitivamente il dilemma interpretativo relativo al premio di maggioranza e che ha generato proprio a Gela, un vero e proprio caso con due differenti valutazioni: una operata dal Presidente della Commissione Elettorale che non ha inteso applicare il premio di maggioranza a Fasulo, l'altra da parte del Tar che ha invece assegnato il premio di maggioranza. Quest'ultima appare la più coerente rispetto al precedente impianto di legge che prevedeva la possibilità del voto “indiretto” ai candidati a sindaco semplicemente, mettendo contrassegnando la o una delle rispettive liste di collegamento: di conseguenza ai fini del premio di maggioranza non possono non essere computati tutti i voti validamente espressi alle liste a prescindere dalla soglia di sbarramento, nonché i voti validamente espressi ai candidati a sindaco sia indirettamente che disgiuntamente. Col nuovo impianto di legge che impone il voto diretto (confermativo o disgiunto) al candidato a sindaco, appare ragionevole applicare la soglia di sbarramento anche ai fini del premio di maggioranza con la conseguenza che non sono più computabili i voti delle liste che non hanno nel frattempo superato il 5% fissato dalla legge. Senonchè, francamente non si capisce perché conferire alla disposizione in questione la natura di norma di «interpretazione autentica» anziché quella che è la sua evidente natura, cioè di norma «innovativa» rispetto al preesistente impianto di legge.

Non si capisce cioè per quale ragione, in un contesto legislativo “riformatore”, anziché modificare il disposto di cui all'Art. 4, comma 6 (premio di maggioranza al sindaco) e di cui all'art. 7, comma 7 (premio di maggioranza al Presidente della Provincia) della L. 35/97, risolvendo il dilemma interpretativo che tali disposti generavano, si è preferito invece interpretarli autenticamente. L'unica ragione plausibile di una tale scelta può solo risiedere nella necessità rinvenuta dal legislatore di affidarsi alla retroattività, la quale è connaturata (in via consuetudinaria) ad un'interpretazione autentica, al fine di regolare una materia controversa: il che potrebbe riguardare un giudizio di merito pendente al Cga su ricorso di alcuni ex consiglieri comunali di Gela estromessi dal Tar in prima istanza. Cionondimeno, premesso che tale norma potrebbe essere benissimo impugnata dal Commissario dello Stato presso la Regione Sicilia perché, come ha stabilito la Consulta in diverse occasioni (Sentenze n. 155/1990; n. 397/1994; n. 376 del 1995), mascherare come interpretativa una disposizione innovativa (in questo caso non foss'altro perché inserita in un impianto di riforma, peraltro in materia elettorale dove il principio di ragionevolezza andrebbe tutelato in maniera ancor più rigorosa) costituisce motivo di incostituzionalità, va aggiunto che per individuare un'interpretazione autentica con effetto retroattivo, non basta solo la cosiddetta “autoqualificazione”.

Éda ritenersi, in ogni caso, che qualora i ricorrenti volessero avvalersi di tale norma interpretativa al Cga, questi difficilmente inibirà e sconfesserà se stesso, optando nel merito per l'inapplicabilità al caso in ispecie della norma nel frattempo intervenuta che col suo effetto retroattivo lederebbe inevitabilmente ed irragionevolmente l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica (altrimenti nota come certezza del diritto) posta a garanzia di un diritto (il voto) regolato da precise disposizioni vigenti al momento in cui è stato invitato ad esercitarlo. E' dalla giurisprudenza del Cga (leggasi dispositivo n.781/08 del 23/09/2008, in particolare) che discende l'interpretazione secondo cui ai fini dell'attribuzione del premio di maggioranza nel calcolo dei voti validi vanno computati non solo i voti attribuiti alle liste ma anche il totale dei voti espressi per i candidati alla carica di sindaco, in logica coerenza a quanto stabiliva la disciplina elettorale al momento del voto. Stravolgerla, applicando la norma di interpretazione autentica a distanza di meno di un anno dal responso delle urne, equivarrebbe a tradire le intenzioni e le preferenze dei cittadini elettori e - cosa ben più grave - significherebbe assegnare al legislatore regionale l'intenzione di voler “scalzare” un giudizio pendente, incidendo deliberatamente su concrete fattispecie “sub iudice” (vedi Corte Costituzionale, sent. n. 525 del 2000). Peraltro trattasi, a ben vedere, di una norma “pleonastica” che vuole obbligare l'organo chiamato ad applicare le disposizioni interpretate (i già richiamati Art. 4, comma 6 ed Art. 7, comma 7) a dare corso a quanto stabilito da altre disposizioni della stessa L. 35/97 (Art 3, comma 3 bis ed Art. 4, comma 4 bis): se può starci nei giudizi futuri, in quelli pendenti vedrebbe il legislatore usare (attraverso una forzatura) la sua prerogativa di interprete d'autorità del diritto, precludendola al giudice di merito. Vogliamo pensare, allora, che non fosse questa la reale intenzione del legislatore, probabilmente incline – in una logica riformatrice – ad operare un'interpretazione autentica per l'immediato avvenire (prossime elezioni amministrative e provinciali di fine maggio 2011) e non anche per il passato (passato in giudicato e/o pendente).


Autore : Filippo Guzzardi

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