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Corriere di Gela | La "Torre Manfrina" assediata dal cemento
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notizia del 17/04/2004 messa in rete alle 14:04:00
La "Torre Manfrina" assediata dal cemento

Da tempo immemorabile la pubblicistica locale, corposa di dati archeologici, di eventi storici, di leggende, ha fatto da supporto alle vicende legate alla torre di Manfria.
La zona circostante alla torre, com’è noto, fin dall’età preistorica, fino al periodo successivo alla presenza di Federico II di Svevia a Terranova, fu abitata ma mai abbastanza protetta dalle periodiche invasioni provenienti dal mare.
Il sito della torre, oggi assediato da costruzioni sgraziate con pretesa di ville, è posto fra lievi declini a partire dal maestoso castello di Falconara; è guardato a vista da Montelungo con i suoi unici intensi profumi di erbe selvatiche che invadono la piana nei giorni di scirocco.
La torre, come molte altre costruite sulla costa occidentale sicula, deve la sua fortunata esistenza, fra travagliati periodi di assedi e di resistenza, al viceré de Vega.
La torre di Manfria, o torre di avvistamento come venivano comunemente indicate quelle costruzioni a protezione delle scorrerie dei corsari verso le coste siciliane, possedeva una limitata terrazza per ospitare pochi soldati ed un’artiglieria con poche munizioni.
Quei “baluardi”, di conseguenza, ben poco potevano contro i pirati che, dal 1500 al 1600, scorrazzavano indisturbati per il Mediterraneo, incutendo terrore fra le popolazioni rivierasche.
C’è anche da considerare che quei pochi soldati e le pur scarse munizioni a disposizione della Torre di Manfria costavano parecchio e non sempre i soldi erano disponibili; a quel tempo, non esisteva un ministero alla difesa a portata di borsa.
Le amministrazioni di Terranova non avevano particolari disponibilità finanziarie per quella guarnigione né per la popolazione della zona, così come avviene in tempi più vicini a noi (!); non esistevano sponsor o comitati di quartiere.
Ma la Torre di Manfria esisteva e doveva essere operativa; soprattutto doveva essere dotata di armi efficenti e di particolari munizioni.
Quando le armi più sofisticate del tempo, con relative munizioni, furono messi a disposizione dio quei militari, ciò non impedì le periodiche invasioni. Perché, come ci avverte lo scrittore Matteo Collura nel suo ultimo libro “In Sicilia”, edizioni Longanesi, gennaio 2004, “La Sicilia è terrà dove è facile arrivare, specie se si è conquistatori. E’ così da tremila anni. Fenici, greci, cartaginesi, romani, bizantini, arabi, normanni, svevi, angioini, aragonesi. Fino a quel 1943 come contemporaneamente a Scoglitti, Gela, Licata, fecero i soldati della 7ª Armata americana di Patton”.
Relativamente alla questione delle armi e delle munizioni per la torre di Manfria, pare che fossero prodotti dagli artigiani terranovesi fondendo delle vecchie campane.
Ma, ad oggi, non ci è pervenuto un ricettario degli artigiani di manfria.
Per la legge del bronzo si conosce soltanto un rapporto generico: 10 parti di rame ed un parte di stagno. Le vere proporzioni della lega “costituivano uno di quei segreti dei maestri artigiani gelesi, di cui è piena la tecnologia primitiva”.
La Sicilia del tempo abbondava – è notorio – di salmitro, zolfo e piombo; ed era, sotto questo aspetto, autarchica in fatto di polvere da sparo.
Molti campanari artigiani gelesi si trasformarono da fonditori di campane, di cannoni, in industriali di polvere da sparo.
Le munizioni venivano anche esportate; ne acquistò Enrico VIII e le casse di Terranova ne trassero benefici in favore degli abitanti del posto e per le guarnigioni della torre.
Attorno ala torre di Manfria, alla sua “generosa ombra” ruotano anche alcune leggende e favole che si discostano dalla sua storia in armi.
“Nel tormento dello scirocco siciliano” (con una felice immagine di Matteo Collura) la torre continua a vivere.
Parafrasando, con tutti i limiti possibili, una annotazione di Johan Wolfang Goethe recita: “Senza vedere la Sicilia non ci si può fare un’idea dell’Italia”, e nulla ci vieta di asserire che senza ammirare da vicino la torre di Manfria, accostandosi alla sua storia, non si può amare questo lembo di terra scolpito per l’eternità nel golfo di Gela.
Risale al 1975 il volumetto di Nunzio Vicino “Il gigante di Manfria”.
Si tratta di una leggenda all’ombra di quella torre? O di una storia vera?
Nell’un caso o nell’altro poco importa: si tratta sempre di qualcosa che ruota attorno alla torre di Manfria, che suscita un benevolo sorriso, un sognante amorevole abbandono alla fantasia.
La “storia” di Manfrino, il buono e sfortunato gigante di Manfria – scrive Vicino – affonda le sue radici nei mitici e favolosi tempi dell’oro, immaginato e ben nascosto fra le solari colline di Manfria. Ma non esiste una sola storia per bocca dei vecchi contadini.
Ed ecco che improvvisamente spunta fuori qualcuno per raccontare di avere visto nei pressi della torre una ragazza in adamitico costume, che si trasforma in roccia granitica dalle divine sculture e forme. E c’è chi giura di avere incontrato l’ombra dello stesso Manfrino aggirarsi inquieta nelle notti di luna piena.
Questa “storia” è patrimonio della tradizione orale dei gelesi, e trova la scaturigine anche in avvenimenti realmente accaduti.
Ai nostri giorni la torre di Manfria ed il suo vicino insediamento urbano corrono altri pericoli.
La storia si ripete mediamente sofisticate tecniche; ma questa volta i “predoni” non giungono dal mare!


Autore : Federico Hoefer

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