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Corriere di Gela | Come si viveva a Gela e in Italia all’epoca dello sbarco
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notizia del 24/07/2007 messa in rete alle 01:28:08
Come si viveva a Gela e in Italia all’epoca dello sbarco

Sono passati 64 anni dallo storico sbarco americano del 10 Luglio 1943 sulla nostra spiaggia. Quest’anno per la ricorrenza si è svolta una solenne cerimonia, alla presenza di autorità religiose, civili e militari locali e americani, che hanno rinnovato dolore e tristezza per quella sanguinosa battaglia.
In margine al quel grande fatto d’armi vogliamo oggi ricordare agli anziani e particolarmente ai giovani di oggi come si viveva in quel periodo, prima e subito dopo lo sbarco, per far conoscere come siano cambiati i costumi e il modo di vivere.
Io ho 87 anni suonati e quei ricordi sono ancora vivi in me. I gelesi, dopo lo sbarco, familiarizzano con i militari americani con l’appellativo cordiale di “paisà”…
I marines distribuivano a tutti sigarette, chewingum, cioccolata, scatolette di carne, caramelle, farina.
In Italia si era stanchi della guerra, del razionamento, delle carte annonaria, della fame. In Sicilia iniziò il commercio illegale e venne coniata dalle nostre parti una parola nuova, “intrallazzo”, neologismo che entrò subito nel vocabolario.
Si costruirono a Gela tante orchestrine e si inaugurarono, oltre ai consueti lidi balneari in legname, nuovi ritrovi, dove i giovani, gli sfollati, gli ex sbandati si recavano per ballare, per divertirsi e dimenticare il volto brutale della guerra.
Gli americani avevano portato un nuovo ballo, il “boogiowoogie”, e una romantica e appassionata canzone, che era sulla bocca di tutti “Storm wind” (Vento impetuoso) e la… am–lire. Le signore portavano ancora scarpe ortopediche su altissime zeppe di sughero. Le ragazze seguivano la moda autarchica e sognavano di somigliare alle signorine dipinte da Gino Boccasile nella rivista “Grandi firme”.
Alla spiaggia si indossavano costumi da bagno di tessuto grezzo pesante. Erano ancora lontani i tempi del costume a due pezzi e della scandalosa minigonna.
Le canzoni in voga di quel periodo erano “Se potessi avere mille lire al mese”. “La famiglia Brambilla”, “Pippo non lo sa” ed altre. I negozi esponevano pellicce di coniglio, scarpe di pelle finta a prezzi elevati.
Per tutto l’anno 1943 si comprava con la tessera annonaria il pane, l’olio, il sapone, lo zucchero, la carne. Mancava la benzina e le poche auto cittadine non circolavano più.
Per effetto delle leggi razziali emanate da fascismo, erano stati rimossi bravi docenti dalle Università di Palermo, di Catania e di Messina.
Se per la guerra di Etiopia lo Stato “raccolse” le fedi d’oro del popolo italiano, durante il secondo conflitto furono requisite tutte le cancellate di ferro per la Patria.
La sera, le vie di tutte le città erano al buio, ma dopo lo sbarco, in Sicilia finì l’oscuramento. La sera, chiusi in casa, si ascoltava a basso volume la voce del colonnello Stevans da “Radio Londra”, seguita subito dopo dalla canzone “Lilì Marlen”: un motivo nostalgico, che fu la colonna sonora della guerra. La cantavano i militari di ogni nazione in guerra.
Con lo sbarco americano, arrivò a Gela la penicillina e il Ddt, che debellò la malaria nella nostra città
. Il 1943 fu per gli italiani l’anno più squallido e più tetro della storia. Bisognava aspettare la fine della guerra, perché tutto rientrasse nella normalità e, con la caduta del fascismo, in Italia iniziò una vista democratica.


Autore : Gino Alabiso

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