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Corriere di Gela | A colloquio col fantasma di Eschilo
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notizia del 09/02/2005 messa in rete alle 12:28:43
A colloquio col fantasma di Eschilo

Verso il tramonto, appoggiato ad una balaustra ormai sberciata dalla salsedine e dall’incuria dell’assessorato preposto alla manutenzione, che dal mare di Macchitella porta fino al club Nautico, ho incontrato un fantasma. Mi somigliava a qualcuno: era Eschilo; o meglio il suo spirito in sembianze umane. Ho detto a me stesso: chissà se mi concede un’intervista.
Una persona importante come Eschilo, anche se fantasma, vale sempre la pena di chiedergli qualcosa; perché, per esempio, si trovasse là; perché fosse ritornato a Gela dopo tanti anni e da fantasma.
Mi presentai e lui – piacere, mi chieda pure.
Domanda: – la ringrazio. Innanzitutto mi vuole cortesemente chiarire una volta per tutte, com’è realmente morto e cosa è venuto a fare a Gela a quel tempo?
Risposta: – Rispondo prima alla sua seconda domanda. Si è trattato di una semplice curiosità e del tramonto.
D. – Del tramonto?
R. – Deve sapere che nei miei lunghi o brevi soggiorni a Gela ammiravo e contemplavo la natura, il sole che tramonta oltre Montelungo, che la gente del posto non sa ammirare. E mi dicevo: bisogna essere ciechi per non restare stupiti da un simile spettacolo, bisogna essere sciocchi per non riconoscerne l’autore; bisogna essere pazzi per non adorarlo. Parlo di Dio, naturalmente.
D. – Ma in questi termini si è espresso Voltaire, che è venuto moltissimi anni dopo di lei. R. – Ma noi siamo fantasmi, viviamo oltre il tempo, e leggiamo di tutto: financo gli editti del vostro capo del governo provvisorio.
D. – E sulla questione della sua morte?
R. – Il discorso è lungo ma lo sintetizzo per il suo giornale. Deve sapere che sono morto a Gela perché sono caduto in una buca, al centro di una strada. Ho battuto la testa e patatrac. Ed eccomi che mi ritrovo fantasma fra le stesse buche di allora.
D. – Ma allora la questione dell’aquila e della tartaruga caduta sulla sua testa pelata?
R. – Tutte cretinerie, fantasie popolari e di certi studiosi a caccia di popolarità. Ha mai visto un’aquila in Sicilia, volare vicina al mare, come se si trattasse di un gabbiano? E poi, ammesso che si fosse trattato di un rapace disperso, venuto da lontano, sarebbe stato più verosimile che si fosse impossessato di un agnello per soddisfare la sua fame; a parte il fatto che una tartaruga è pesante ed indigesta.
D. – Però tutti i libri, o quasi, riportano quel fatto tartarughesco ed aquilano; dunque non è vero niente.
R. – Le dicerie popolari sono pericolose e sono difficili ad essere cancellate del tutto.
D. – Ma lei ha scritto l’epigrafe per la sua tomba?
R. – Macché! Sono stati due miei amici che mi accompagnavano alla ricerca di un sito, dopo che avevo espresso il desiderio di fare rappresentare alcune mie opere, dopo il tramonto, in una certa zona, a scrivere quella epigrafe. Può darsi anche che siano stati alcuni gelesi, appassionati di tragedie greche, a scriverla; poi ci si è messo anche Quasimodo a rincarare la dose con quel verso “... Là Eschilo... in quel golfo arso l’aquila lo vide/e fu l’ultimo giorno”. La mia tomba non esiste, perché le mie ceneri sono state disperse al vento; così come non esiste un teatro, perché noi greci le nostre rappresentazioni le facevamo su un terreno duro, roccioso e non come quello friabile che esiste qua.
D. – Eppure tutti credono che...
R. – Credano tutto quello che vogliono. Piuttosto sono io che le faccio una domanda: A che punto è il teatro che porta il mio nome? Per quello che mi risulta e che ho visto è tutto fermo. Da fantasma posso venire, e vengo quando mi pare e piace a controllare i lavori. E se continua di questo passo farò una cooperativa, senza che sia necessario esibire la certificazione antimafia, con alcuni colleghi fantasmi. Già sono d’accordo i fantasmi di Euclide, Archestrato e di molti altri.
D. – L’idea mi pare buona, e sarebbe uno smacco per gli amministratori locali. Ad ogni buon conto lei a Gela ha intitolata una strada Eleusi, dove è nato, ed un giardinetto; le pare niente?
R. – Ne sono immensamente lieto. Mi risulta anche che hanno innalzato un monumento bronzeo ad un certo Auriga, come abbiamo fatto noi a Delfi, e sono andato a cercarlo in mezzo al fogliame ed alle bottigliette vuote di birra. ma perché gli hanno rubato le briglie che teneva in una mano? Un atto sacrilego. Al Comune non posso ordinare delle nuove briglie? Non dovrebbero costare molto. Anche di plastica andrebbero bene, se colorate a dovere da uno dei tanti pittori sempre a portata di mostre estemporanee.
D. – I pittori non mancano signor fantasma, quello che da noi manca è la cultura perché non porta voti; e l’esistente sembra che dia fastidio: e dire che anche le pietre, sature di tempo, hanno una loro anima. Non è d’accordo?
R. – Sono d’accordo. E parlando di pietre mi auguro che le pietre delle case popolari a Scavone rimangano pietre, fantasmi in muratura per i nostri soggiorni improvvisi a Gela. A noi fantasmi fanno comodo perché possiamo entrare ed uscire dai buchi-finestre a nostro piacimento.
D. – E mi dica ancora...
R. – Adesso basta. La ringrazio per avermi intervistato, ma debbo fare una puntata a Siracusa. Anche da là voglio godermi un bel tramonto, fra gli scalini di pietra del teatro greco. Non mi vede nessuno perché sono un fantasma; ma là mi ricordano meglio e con più rispetto che da queste parti. Arrivederci e mi saluti le mura greche: questa volta non ho avuto tempo per verificare se sono sempre al loro posto.
L’ho visto scomparire nel nulla: come era logico.


Autore : Federico Hoefer

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