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Corriere di Gela | Vivere nel ricordo di Eschilo
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notizia del 22/07/2013 messa in rete alle 12:26:40

Vivere nel ricordo di Eschilo

Se esiste una cittadina che, quasi giornalmente, vive nel ricordo di Eschilo, questa è Gela. Il sommo dei tragici greci, di nobile famiglia, entrò giovanissimo nelle gare letterarie e primeggiò per molti anni, finchè fu vinto da Sofocle.

Eschilo, è risaputo, nacque ad Eleusi nel 525 a.C. (città con la quale Gela è gemellata e dove morì nel 456 a.C. Come morì continua ad appassionare gli studiosi di mezzo mondo, e se ne sono scritte di tutti i colori; e noi non saremo da meno. Da una delle sue più importanti e significative tragedie Le Coefore, che ritengo più stimolante da potere essere, per certi versi, riconducibile a specifiche vicissitudini contemporanee, addirittura di matrice nostrana, voglio ricordare alcuni paesi significativi che sembrano scritti oggi e per essere tramandate ai posteri.

«… prega che l’avvenire sia felice, s’è destino che venga a noi la salvezza, perché da un piccolo seme può nascere un albero immenso…»

E l’ha scritto anche il nostro attuale Paese che «da quel poco che rimane, possiamo rialzare ancora questa casa, che sembra caduta in rovina»?

Come non ricordare il porticciolo gelese, sempre insabbiato, quando ci avverte che «i sugeri che alzano la rete, la salvano dal fondo delle acque …», per ritornare nelle mani dei nostri pescatori. In ogni sua tragedia è condensato un certo religioso ammaestramento morale; mentre il suo stile lo possiamo paragonare a quello di altri suoi connazionali greci: Sofocle, Euripide e Aristofane.

Altre sue voci, meliche e corali, dove si palesa la natura misteriosa del fato come moto di ogni azione umana – sempre nelle Le Coefore – risultano significativi nell’economia complessiva della tragedia.

La sua grandezza ci appare grande e propiziatrice in questi versi: «… la fortuna ridente abiterà di nuovo queste case, per dare gioia a quelli che ora si lamentano (con un velato razzismo per gli altri popoli e per gli sbarchi dei clandestini), perché è l’ora che il viandante (ogni viandante!) getti l’ancora in qualche luogo ch accoglie gli stranieri…».

Certo si è che rinverdire Eschilo è sempre gratificate: ne sapeva qualcosa il prof. Nicolino Di Fede, patito per la Grecia antica moderna, e che ebbe una particolare passione e predisposizione per l’opera eschiliana che si conciliava, anche se da visuali opposte, con il romanticismo germanico: due concezioni culturali, senza confini, che produssero un connubio inscindibile.

Eschilo, certamente, dovette anche sedersi “sulla sabbia colore della paglia”, come sarebbe successo molti secoli dopo al poeta Salvatore Quasimodo. Il poeta modicano morì di morte naturale, mentre Eschilo… E qui inizia una storia, una leggenda tramandata fino a nostri giorni da una certa letteratura scolastica e non. Pare che un’aquila avesse scambiato la testa pelata di Eschilo per un sasso, e vi avrebbe lasciato cadere dal suo becco una tartaruga, per romperla e mangiarsela; e ammazzò Eschilo.

Un aquila a Gela! Forse Montelungo si chiamava Montealto, come una montagna alpina o dolomitica? Forse.

Forse poi il vento e le piogge sciolsero quella montagna, con il suo nido di rapaci, e si abbassò fino al miserello attuale sul livello del mare; così da alta divenne lunga.

Poi, tutto il resto rimane avvolto nel mito e nella fantasia documentata di qualche scrittore occasionale. Ma, da non dimenticare che per le leggende ci sono dei limiti!

D’accordo: tutto è leggenda; ma non si può maneggiarla a piacimento. Eschilo è una cosa seria.


Autore : Federico Hoefer

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