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Corriere di Gela | Aspettando la solenne apertura del Teatro Eschilo
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notizia del 22/12/2012 messa in rete alle 01:12:46

Aspettando la solenne apertura del Teatro Eschilo

Si sussurra che fra non molto riaprirà a Gela il teatro “Eschilo” di piazza Salandra. Sarà vero? Oppure la “calunnia è un venticello”, anche se soave?
Gela possiederà, nuovamente, un teatro reale, usufruibile, degno di tale nome, come una manciata di anni addietro? Oppure ci culleremo ancora di averlo realmente avuto, ma di altra natura, nel 458 a. C.?

Nella “Città del Golfo” nel 456 morì Eschilo e purtroppo scomparve misteriosamente anche il teatro. Anche quell’anno era avanti Cristo.
La storia e la leggenda si mescolano, per fornire sempre nuova ed imprevedibile linfa ad una Gela inesorabilmente fascinosa e sulla cresta dell’onda: nella cattiva come nella buona stella. Ma è anche un bene, ripassare la storia, gli eventi del territorio di appartenenza, e riprendere in mano gli scritti dei suoi uomini migliori.

Uno di costoro è rappresentato dal compianto Giuseppe Corrao che, nel maggio del 1987, diede alle stampe un poemetto di 126 endecasillabi intitolato Eschilo a Gela, ovvero l’ultimo approdo di un tragico.
Lo scritto, di appena 37 pagine, fu stampato a cura del Gruppo Archeologico gelese, aderente ai gruppi archeologici d’Italia.

Conteneva, fra l’altro, una partecipata messe di testimonianze: da quella di Giovanbattista Caruso, inserita nella Storia della Sicilia scritta nel 1875, fino a quella del prof. Luigi Aliotta su Eschilo è sempre presente al teatro greco di Siracusa, pubblicata anche su la rivista Il dramma Antico del 1956.

Ma ci affascina l’ipotesi prospettata da Onofrio Oresti Russo, a proposito del volumetto di Corrao stampato a Gela nel 1928 nella tipografia di G. Scrodato.
«La dimora a Gela di Eschilo di due anni consecutivi, chiaramente ci rivela ch’egli avesse a trovarsi un ambiente a lui favorevole… caso diverso , non avrebbe avuto ragione la sua lunga permanenza. Questo ambiente non poteva essere altro che il teatro».

Una ipotesi, questa, affettiva sotto il profilo archeologico che, d’altra parte, ci rimanda alla presentazione ufficiale del volumetto, dovuta alla amorevole penna dello studioso locale prof. Nunzio Sciandrello.
Nella sua attenta, puntuale e appassionata nota critica, mette in evidenza che «Corrao cantando della remota Gela, ha sentito di parlare un linguaggio solenne…».

Sciandrello aggiunse che «se fosse lecito mescolare il sacro con il profano, si direbbe che leggere Corrao nel carme dedicato a Eschilo è come assaporare l’antico sapore e gli inebrianti profumi di un tempo che fu».
Le atmosfere che il teatro riesce a ricreare rappresentano i tasselli per una cultura a largo respiro. La cultura del passato che ravviva il nuovo umanesimo, l’oggi; e la riapertura del teatro gelese può rappresentare anche un mezzo per una nuova filosofia di vita contemporanea.

Nel corso degli anni, a nostra memoria, altri scrittori gelesi di storia patria hanno contribuito ad animare il ricordo vero o leggendario di Eschilo.
Se della sua tomba non c’è traccia, si spera che almeno il teatro ristrutturato che porta il suo nome, ritorni a risplendere, come le messi della piana di un tempo.

E’ auspicabile che nel rinnovato teatro gelese possano trovare ospitalità, oltre alla produzione eschilea, orientata ad un pubblico tradizionalista, anche testi d’avanguar-dia. Perché il conservatorismo teatrale non ha più motivo di esistere.
Alle categorie dei giovani e dei giovanissimi bisogna offrire nuovi momenti di riflessione esistenziale, mediati dai moderni copioni nazionali e di altri paesi. Le tavole di un palcoscenico, nel corso dei secoli, hanno sempre saputo offrire tali opportunità.

Ci si augura che coloro che saranno delegati a gestire e a programmare gli spettacoli del teatro di piazza Salandra, si ricordino che la prima apertura di sipario, dopo un estenuante e lungo intervallo, rappresenta un momento particolarmente significativo: sia culturale che sociale. C’è anche da ricordare che alcuni anni addietro, lo scomparso avvocato Giovanni Renda, scrisse una riduzione del Prometeo incatenato di Eschilo in lingua geloa.

Una tragedia con un intreccio semplice, ma le scene hanno una solennità maestosa, ed i caratteri dei personaggi, pur se rappresentati in dialetto gelese, sono elevati e da intendere come simboli di idee.
Riprendere il Promoteo in lingua geloa e farne una operazione culturale, anche da parte dei complessi artistici locali, rappresenterebbe un motivo di cambiamento, per un avvenire più roseo.


Autore : Federico Hoefer

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