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Corriere di Gela | La scomparsa di Andreotti, «ottavo re di Roma»
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notizia del 14/05/2013 messa in rete alle 10:45:11

La scomparsa di Andreotti, «ottavo re di Roma»

L’Italia delle fazioni, dei partiti, delle lobby, dei campanili, l’Italia sempre pronta a dividersi su tutto, alla morte di Giulio Andreotti ha trovato subito nuovi motivi di polemiche e contrasti. La scomparsa del senatore a vita, 7 volte presidente del consiglio e 21 volte ministro della Repubblica Italiana, ha infatti riacceso il dibattito intorno alla figura dello statista, da alcuni santificato da altri demonizzato. Un mafioso e assassino per chi lo ha odiato.

Uomo di grande generosità per chi lo ha amato. Per molti ritenuto un essere luciferino, infernale…un Belzeù. Per altri una persona mite, di fede, che andava a messa ogni mattina, tutti i giorni, sino a quando le sue gambe glielo hanno consentito. Certo, con le sue tante contraddizioni, Andreotti non ha mancato di fare parlare di sé da vivo e continuerà a fare parlare di sé pure da morto. E’ indubbio però che il “divino Giulio” ha lasciato un’impronta indelebile nella politica italiana, e sebbene la magistratura lo abbia inquisito per mafia accusandolo addirittura di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Pecorelli, il tribunale di Palermo in un lunghissimo processo durato anni non riuscì a condannarlo, sebbene il dibattimento penale (per alcuni imbastito ad arte) di fatto impedì ad Andreotti di conquistare il Quirinale. Ma se il senatore a vita non giunse mai alla presidenza della Repubblica, comunque egli è stato per molti l’ “ottavo re” di Roma, e per altri un “cardinale laico” vista la sua vicinanza alla Chiesa. D’altronde, la sua autorevolezza, la sua arguzia, le sue risorse intellettuali e diplomatiche, non lo discostano da altre figure storiche come ad esempio Richeleu e Mazarino; essi sì cardinali con… la porpora. E come questi ha saputo gestire e amministrare il potere (“che logora chi non lo ha”…diceva) con una determinazione tale da consentirgli di rimanere sulla breccia per mezzo secolo, anche se poi di fatto i suoi anni di vita pubblica sono stati 64. Formatasi alla scuola di De Gaspari, al quale è sempre stato grato riconoscendogli i più alti meriti, Andreotti è divenuto poi l’ago della bilancia di ogni situazione che ha riguardato la Repubblica Italiana sino alla fine della Democrazia Cristiana.

Egli fu apprezzato e tenuto in alta considerazione anche all’estero sin dai tempi del piano “Marshall”, determinante per la ricostruzione dell’Italia dopo le devastazioni della guerra. Ma di Giulio Andreotti, oltre che le capacità di fine politico, hanno sempre colpito pure la leggerezza, l’autoironia, e la grande determinazione con le quali affrontava le questioni, anche le più spinose, cercando sempre di ottenere ciò che era meglio per l’interesse della nazione; segno di forza e consapevolezza nel proprio operato. Non bello, certamente non privilegiato da “madre natura” nel suo aspetto, Andreotti, anche per le sue “asimmetrie” fisiche, è stato il politico più bersagliato dalla satira. Basti pensare a Forattini, che illustrò il “divino Giulio” nelle situazioni più disparate. Ma Andreotti non si arrabbiò mai, forse perché anch’egli aveva un certo gusto per lo spettacolo e aveva compreso prima e meglio degli altri (Belusconi è un allievo a confronto) il valore della comunicazione.

Non a caso non disdegnava mai gli inviti a spettacoli leggeri e varietà televisivi e accettò volentieri di fare una “partecipazione straordinaria” nel film di Alberto Sordi “Il tassinaro”, dove interpretava se stesso. Egli però sbagliò giudizio sul cinema neorealista che criticò acerbamente dicendo che “i panni sporchi si lavano in famiglia” e facendo diverse interrogazioni in Parlamento perché la censura mettesse a tacere alcuni cineasti poco rispettosi dell’immagine dell’Italia.

L’accusa che rivolgeva a De Sica e Rossellini era quella di sbattere con le loro pellicole in faccia al mondo i problemi e le miserie della nazione. Furono però quei film che invece rilanciarono l’immagine dell’Italia all’estero e soprattutto negli Stati Uniti.

D’altronde, forse in maniera contraddittoria ma efficace, nel 1965 Andreotti fu uno dei firmatari della nuova Legge sul cinema, dando un notevole contributo alla rinascita dell’industria cinematografica italiana. Ora però che il “divino Giulio” se ne è andato, rimane il quesito: “Chi fu veramente Andreotti?”. Saggio in tal senso quanto ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, interrogato in merito, ha lasciato al “giudizio della storia” l’ultima parola.


Autore : Gianni Virgadaula

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