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Corriere di Gela | Come San Francesco invochiamo “sora acqua”, o rivolgiamoci agli stregoni
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notizia del 17/09/2007 messa in rete alle 10:05:25
Come San Francesco invochiamo “sora acqua”, o rivolgiamoci agli stregoni

Sorridevamo nel vedere gli stregoni, circondati da indigeni, implorare la pioggia per bere, lavarsi, irrigare i campi. Ciò avveniva nel centro Africa, o fra i primitivi della Polinesia o dell’amazònas Sorridevamo nel vedere quei film; nel leggere quelle avventure dovute alla penna, per esempio, di un certo Ernest Hemingway.
Sorridevamo estasiati nell’ammirare i variegati colori delle penne che cingevano le teste di quegli stregoni, vestiti di una gonnellina di paglia, oppure serrati fra due foglie di piante misteriose.
Invocavano la pioggia come una benedizione divina, ma senza ricorrere ad altri stregoni più importanti, di taglio comunale o regionale.
San Francesco d’Assisi, attraverso il suo mirabile “Il cantico delle creature” con l’acqua umile e casta, preferiva rivolgersi al Signore.
Sembra incredibile, eppure esistono ancora gli stregoni, molti di questi vivono in Sicilia assurti al rango di classe (credono loro) dominante.
Non si coprono più le parti intime con le gonnelline di paglia; vestono bene e si forniscono nelle boutiques del palermitano, dell’agrigentino, del nisseno che rappresenta un continente a parte con annessa la piana di Alemanna.
Invocano ancora l’acqua, ma a suon di percentuali misteriose e nomi esotici: Cimia, Disueri, Ragoleto, Bubbonia, Spinasanta.
Fra gli stregoni nostrani fa sempre capolino qualcuno importato dal Nord: e lì giù il cappello da bravi e compiacenti indigeni.
Nel 1985, anno non sospetto ma già sulla buona via, un pubblicista gelese scriveva per il Movimento Francescano di Sicilia di Palermo una nota dal taglio poetico che il compianto Nunzio Sciandrello sintetizzava: “…serve a puntualizzare dei dati storico-geografici, simboli morali di verità e di sogno, di realtà a di finzione sempre come necessità sociale…”.
Scriveva quel pubblicista, parafrasando nei primi due versi quello che aveva cantato San Francesco: “Laudatu si, mi signore, per sor aqua, la quale è multo utile et…”.
Ed il pubblicista continuava: “Non prevedesti il gioco delle parti, delle cosche, il siculo mercato: tu, figlio umbro, seguace d’ideali regolati dal verbo della’amore.
O si paga o si spara, là dove la diga di cemento amaro imbriglia l’acque fresche a dissetare uomini ed armenti, quando calura estiva ci rinsecca e par quasi che uccida, e uccide a volte nel volgere di una luna.
Soltanto i rizomi sono ancòra puri:, qua e là esplodono i canneti sulla costa a guardia dei merlati medievali, dove tintinnarono le ramate brocche: a bocca di fontane d’arenaria”.
Da allora, da quel 1985, nulla è mutato; ma sono aumentati gli stregoni ad implorare la consueta e casta “sor acqua” cara a San Francesco ed ai suoi poverelli.


Autore : Federico Hoefer

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