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notizia del 04/06/2011 messa in rete alle 19:36:54
Quando Gela non fa rima con il... lavoro
“Sì, io frequento volentieri la scuola, poiché apprendere mi piace, ma spesso mi chiedo se studiare abbia un senso. In questa città non c’è lavoro, e in molti casi, anche con una qualifica in tasca, non si trova granchè. Pertanto, cercare un impiego dopo aver concluso gli studi, diventa quasi ridicolo. La musica è sempre la stessa, la gente muore di fame e noi giovani continuiamo a scappare. Vorrei solo sapere se questa è vita”.
Così mi ha risposto un ragazzo di 16 anni ero impegnato in una conversazione riguardante le future prospettive occupazionali. Affermazione diretta e coraggiosa, esternata da un adolescente sveglio e dalle idee fin troppo chiare. Il giovanissimo studente ha poi ribadito la necessità di un cambiamento, inquadrando la situazione sociale ed economica di una città come sempre segnata da fragilità evidenti.
E proseguendo il suo discorso, ha detto: “Noi ragazzi non abbiamo bisogno soltanto di cellulare e Facebook, ma di uno spazio adeguato per crescere e confrontarci. Per me pub e pizzerie sono luoghi di massa, dove non si trova sempre un’occasione di dialogo con i coetanei”.
Le sue paure non le scrive sul diario o su uno dei tanti temi assegnati in classe, ma le racconta con la rapida schiettezza di chi respira aria pesante.
E Gela, a quanto pare, è diventata “stretta” anche per coloro i quali, a questa età, dovrebbero credere e sperare nelle grandi realizzazioni. In fondo, la complessità del nostro comprensorio la conoscono pure gli adulti, uomini e donne di 30-40 anni incapaci di avere uno stipendio, una macchina, una casa, una famiglia e una vita autonoma. Quindi, non dovrebbe stupire la risposta dello spigliato sedicenne, ma la realtà statica e provvisoria di questo paese, che costringe molte persone a vivere ai limiti della sopravvivenza e a confidare in promesse vuote o addirittura scadenti.
Autore : Marco Di Dio
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