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notizia del 29/08/2010 messa in rete alle 16:16:27
Arrivederci Gela
Non sapevo proprio da dove cominciare a scrivere quel pezzo così scontato della mia storia privata. E fino a pochi giorni fa credevo di non riuscirci. Ma ora che sto per lasciare il mio paese in cerca di un lavoro (e di un futuro) migliore, ho trovato il coraggio. E senza più scuse. Gela è stata per me l’anticamera dell’incertezza e della precarietà, terra obbligata di un’esistenza non proprio felice, la stessa che obbligava un poeta come Leopardi a fuggire da Recanati. La terra dei ricordi, i miei, i più belli. Ma non sono qui a redigere un saggio critico o a promuovere l’uscita di un libro (proprio perchè io non sono Leopardi), e neppure ho la pretesa di commuovere qualcuno. Sto cercando piuttosto di far capire ai miei amati lettori la difficoltà immensa di creare sviluppo e occupazione in una terra di quasi centomila abitanti e che si preoccupa solo di diventare provincia. Inutile continuare a tergiversare sulle solite lamentele sbiadite e compassionevoli. Il lavoro non c’è perchè anche se lo cerchi nessuno te lo offre. Il lavoro non c’è perchè nessuno ha mai investito seriamente sui giovani. Il lavoro non c’è perchè non abbiamo avuto politiche di rilancio capaci di fortificare la crescita attiva della nostra città. Il lavoro non c’è perchè finora si è puntato su ideali astratti e per nulla concreti. E se devo esprimermi fino in fondo, dico anche che non mi piace vedere una mamma che reclama il latte per i suoi bambini perchè le mancano appena 20 centesimi per poterlo acquistare.
Non mi piace neanche il ventenne diplomato che va ad elemosinare un lavoro al Centro per l’Impiego e spera nel posto da favola (che non arriverà mai). Non mi piacciono le famiglie disperate, stanche di mantenere i propri figli fino a 30 anni. E tutto questo accade perchè ci sta comodo guardare un paese diviso tra affamati e sazi, tra ignoranti e colti, tra operai e professionisti. Evidentemente, non siamo proprio tutti uguali. E Gela, quella che mi ha visto bambino, adolescente e poi adulto, non ha nessuna colpa, se non quella di non essersi adeguamente sviluppata in quest’ultimo ventennio, rimasta nella cieca logica dell’individualismo, ben riassunta nella frase: “Gli altri muoiono di fame, io ho lo stipendio sicuro, non è un problema mio”.
Ora capisco perchè aumentano i suicidi o i gesti folli. Non è solo questione di instabilità psichica, è la realtà che stiamo vivendo, è il vederci vivere che non ci piace. E si continua ad andare avanti in un paese vittima, dove il razzismo, la delinquenza, l’omofobia e la cattiva educazione sono protagoniste assolute. Ed ho pianto, ho riflettuto, ho meditato. Chissà come si spendono i miliardi, chissà cosa è più importante per te, Gela. E chissà se anche a te ogni tanto girano le scatole, se ti arrabbi per questa situazione. Io non volevo lasciarti, ma è il bisogno che me lo impone. Non c’è ancora una data, ma quando arriverà il momento di preparare le valigie, avrò la forza di custodire tutto il tuo meglio dentro al mio cuore. E’ vero, ho maledetto i soldi, la disoccupazione, la crisi. Per te, invece, ho soltanto pregato. Ieri sera, alla Madonna ho chiesto un’ultima grazia, la più ovvia. Lascia che io torni al mio paese, un giorno, e ci muoia.
Autore : Marco Di Dio
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