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notizia del 29/08/2010 messa in rete alle 16:13:24
La crisi generale e locale del lavoro
Il fenomeno dell’onda lunga è ben conosciuto dai marinai delle nostre coste, quando spira un forte vento di libeccio spesso, sul nostro mare, si presentano delle onde lunghe di scirocco. E l’onda lunga si presenta con regolare incremento, fino a diventare minacciosa per la navigazione in mare.
Così pare stia presentandosi il tema del lavoro a Gela. I venti che lo hanno preannunciato sono noti: la crisi mondiale fatta di bolle speculative e di attacchi alle economie nazionali più deboli, la globalizzazione dei mercati che, come vasi comunicanti, spingono le deboli tutele del lavoro dei paesi emergenti a condizionare quelle ben più evolute dei paesi cosiddetti avanzati, la migrazione dei siti produttivi verso luoghi di maggior garanzia produttiva per gli azionisti, non ultima la politica nazionale che, nell’ottica di un federalismo annunciato, ma già applicato, perimetra regioni e comuni lasciandoli nel brodo dei loro debiti e delle loro difficoltà. Avevo definito, infatti, la nuova virtù amministrativa come “resilienza”, capacità cioè di incassare colpi senza annientare la propria funzione pubblica.
Il nostro sindaco, di fronte, ormai, ai numerosi lavoratori dell’indotto del petrolchimico in cassa integrazione, sostiene che: “…io faccio il sindaco e non il sindacalista…” ed aggiunge: “…il mio compito è quello di difendere gli interessi generali del territorio…”. Precisazione che, prima ancora di chiarire il ruolo del sindaco, suona come una conferma della criticità della situazione attuale.
Queste brevi battute, altamente dense di implicazioni, possono servire per qualche riflessione su come viene affrontato il tema del lavoro e dello sviluppo a Gela. Non tanto su quali soluzioni vengono adottate, cosa che la politica ha l’obbligo di investigare, ma con quali metodi e strumenti viene fatta l’investigazione su un tema di base come quello delle opportunità di lavoro nel nostro comprensorio.
Cominciamo col dire che la prima richiesta del nostro sindaco e dei sindacati è la presentazione dei piani industriali della raffineria per il prossimo futuro, aggiungendo, il sindaco, il termine “benedizione” (almeno così è riportato dalle notizie della stampa locale) al riscontro che, “chi rappresenta il popolo gelese”, potrà fornire a detti piani se ritenuti vantaggiosi per la collettività. Si può partire da tale semantica per alcune deduzioni.
La raffinazione mondiale sta vivendo una crisi dovuta ad un surplus di capacità di raffinazione europea accoppiata ad una congiuntura economica sfavorevole che crea una bassissima redditività. Le raffinerie europee pertanto si stanno ristrutturando, alcune vengono anche chiuse. Di contro i paesi emergenti costruiscono nuove raffinerie di notevole capacità produttiva e vicino le fonti petrolifere, la Cina ne sta costruendo ben tre in Nigeria ed una enorme, in Cina, da 20,5 milioni di tonnellate di petrolio l’anno. Una concorrenza spietata. In tali contesti i piani industriali vanno ben letti e soprattutto ben analizzati.
La raffinazione dell’Eni, che in Italia conta su 5,5 raffinerie, si ritrova con piccole-medie raffinerie distribuite nel territorio italiano e per tentare di competere con le gigantesche raffinerie mondiali deve vedere le sue raffinerie italiane come un’unica raffineria, spingendo molto sull’integrazione delle lavorazioni. In sintesi occorrerà che semilavorati e residui di alcune raffinerie possano essere lavorati da altre con una sinergia reciproca e continuativa. Questa pare essere una intuizione per reggere nella crisi attuale.
In tale contesto qual è il ruolo delle istituzioni locali che ospitano i siti produttivi? Ruolo che possa portare beneficio collettivo? La macchina comunale di Gela non ha una storia di relazioni approfondite e collaborative con il suo insediamento industriale. Lo schema di interazione è principalmente affidato a riunioni monotematiche del consiglio comunale che, appena intuisce, dai segnali sociali, crisi lavorative in atto, convoca incontri con le controparti che, appunto perché costituiscono iniziative reattive, si concludono con richieste generiche o in alcuni casi con ultimatum dagli esiti incerti e spesso inconcludenti. Frutto questo di una assenza di una politica industriale che va costruita giorno dopo giorno e con atteggiamento sistemico e non reattivo. Può un Comune non essere dotato di una struttura di competenza che viva, analizzi, interagisca e proponga sui temi industriali del territorio, raffineria compresa? Questa mancanza genera pseudo-politiche reattive che, nel migliore dei casi, si esauriscono con richieste di interventi decontestualizzati e non governati.
Nella situazione attuale se i piani industriali puntano ad un approccio sistemico e sinergico della raffinazione in Italia occorrerebbe far corrispondere un impegno sistemico e sinergico delle controparti istituzionali locali che ospitano i siti produttivi.
E’ venuto mai in mente alla nostra macchina comunale di indire degli incontri o instaurare delle relazioni con i sindaci dei 6 comuni italiani che ospitano raffinerie Eni, per meglio decifrare ed organizzare le azioni da mettere in campo in realtà ugualmente impattate? D’altra parte una collaborazione reciprocamente vantaggiosa tra il territorio ospitante e l’industria di raffinazione non può partire se non da una migliore consapevolezza delle esperienze di tali realtà ospitanti.
Solo interagendo su una realtà sistemica e regolata da vincoli e norme ormai generali si può ipotizzare di trovare utili percorsi di sviluppo, che coincideranno con probabilità, in questo frangente economico, con politiche di ottimizzazione se non di ridimensionamento accoppiate a qualche cauto investimento. Proprio per questo la realtà industriale e quella che rappresenta la collettività ospitante devono parlarsi giornalmente, condividere non solo iniziative ma collaborazioni.
La sfida è quasi ciclopica e la lettura del piano industriale che il sindaco ha richiesto di valutare è solo l’innesco. La “benedizione” che il primo cittadino prospetta si spera non paventi un semplice punto di arrivo perché “dire bene” di un piano industriale, senza giocare un ruolo di controparte collaborante ed interessata, serve a ben poco.
Autore : Sebastiano Abbenante
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