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Corriere di Gela | E questa è l’altra economia
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notizia del 01/06/2013 messa in rete alle 12:18:42
E questa è l’altra economia

Stiamo vivendo un periodo molto lungo di grandi difficoltà economiche e cambiamenti strutturali dell’economia mondiale. Quotidianamente, invece, si sente parlare di crisi, risolvendo così la questione: c’è la crisi economica! Proviene dagli Stati Uniti. Ma è l’intera traiettoria dello sviluppo italiano degli ultimi vent’anni a presentare gravi distorsioni, che sono alla base del declino italiano.

Questo periodo è dovuto ad anni di politiche sbagliate: troppa finanza e pochi investimenti produttivi; non reinvestimento dei profitti in nuove produzioni; poca ricerca e innovazione; sviluppo insostenibile. La risposta dei governi è stata quella di proteggere la finanza e imporre l’austerità ai cittadini. Occorre un drastico cambiamento di rotta, ripensando l’idea di sviluppo, ridimensionando la finanza, passando dalla quantità alla qualità delle produzioni, alla rivalutazione dei beni comuni e pubblici, a privilegiare attività ad alta intensità di lavoro e conoscenza, in grado di risparmiare energia e materie prime, tutelare l’ambiente, migliorare la vita delle comunità e la qualità sociale. La risposta ecologica alle difficoltà economiche che stiamo vivendo è l’unica soluzione efficace al tema di una rinnovata crescita economica, che sia di qualità, sostenibile e giusta. È cresciuta l’importanza di “cosa produrre” e il “come consumare”. Dobbiamo rassegnarci che la rapida crescita quantitativa del Pil è finita, se consideriamo poi gli scenari a lungo termine prodotti dall’Ose, l’Italia non va oltre un’ipotetica crescita media dell’1,4 % del Pil fino al 2060. A lungo andare la crescita illimitata può avere effetti distruttivi per la stessa economia di mercato. Gli effetti autodistruttivi del capitalismo contemporaneo sono stati aggravati dalla sua versione iperliberista, fondata sull’idea che i mercati siamo capaci di regolarsi da soli, che la sfera dell’azione pubblica vada ridimensionata, allargando i rapporti di mercato e trasformando in merce beni pubblici e relazioni sociali, che il lavoro e l’ambiente siano da sottomettere al mercato. La crescita prodotta da questo modello, dominato dall’ascesa della finanza, è stata particolarmente distruttiva, si è concentrata in pochi paesi, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, e non ha portato benefici al nostro paese.

Certamente misurare il benessere attraverso il Pil è un’illusione statistica, poiché non tiene conto delle disuguaglianze, e anche perché tutto l’aumento del reddito degli ultimi dieci anni è servito per incrementare la ricchezza del 10 % più ricco degli italiani, che a fine 2011 possedeva il 46 % di tutta la ricchezza del paese, mentre al 50 % degli italiani meno fortunati rimaneva appena il 9,4 %. Pertanto il problema, in questo caso, non è più “crescita o decrescita”, ma di redistribuzione del reddito e di giustizia sociale.

Quando si porta come esempio paradossale che “se si è depressi e si acquistano psicofarmaci si sta facendo crescere il Pil di un paese”, diversamente, si potrebbe pensare che il Pil si riduce, poiché chi è depresso e assume psicofarmaci produce di meno, diminuendo la produttività del lavoro. Inoltre, le spesa sanitaria nazionale aumenta per sostenere le cure necessarie, andando ad incidere pesantemente sul debito pubblico. Allora il problema da risolvere è quello di sostenere una “Crescita sociale-qualitativa”, che pone al centro la qualità della crescita, la sostenibilità ambientale, la giustizia sociale. Scriveva Adam Smith, filosofo ed economista, fondatore dell’Economia politica classica: “…il lavoro compiuto da un individuo isolato non è, evidentemente, sufficiente a procacciargli gli alimenti, gli indumenti, e il genere di alloggio, che si suppone siano richiesti in una società evoluta, non solo dal lusso della persona di condizione elevata, ma anche dalle naturali esigenze del più umile contadino...” “...soltanto la divisione del lavoro, per la quale ciascun individuo si limita ad esercitare un’attività particolare, può fornirci una spiegazione dell’aumento di benessere e ricchezza...”.

Comunque, si ricorda che i buoni propositi possono essere concretizzati soltanto attraverso una ritrovata democrazia. Non è più possibile che le decisioni chiave vengono prese soltanto dalla Germania, e le scelte nazionali diventano ininfluenti. Diversamente, l’alternativa sarà una “decrescita infelice”.


Autore : Alessandro Morselli - docente di Istituzioni di economia e Politica economica - università di Messina

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